Nell'ultima inchiesta anti 'ndrangheta della procura di Bologna c'è anche la storia della Riso Roncaia di Castelberforte, in provincia di Mantova. In un momento di difficoltà si era rivolta Giuseppe Caruso, il presidente del consiglio comunale di Piacenza, finito agli arresti con l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso. Nelle carte gli indagati riferiscono di aver chiesto aiuto all'ex ad di Unicredit Ghizzoni (non indagato). Citato anche l'ex europarlantare del Pd Pirillo
La “minna” da succhiare era un’azienda storica: vendeva riso da più di duecento anni. Negli ultimi tempi, però, era in difficoltà finanziarie. Ed è per questo motivo che si era rivolta a Giuseppe Caruso, il presidente del consiglio comunale di Piacenza, finito agli arresti con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso. Nell’ultima inchiesta anti ‘ndrangheta della procura di Bologna c’è anche la storia della Riso Roncaia di Castelberforte, in provincia di Mantova. Nata nel lontano 1790, nel 2015 si era trovata con i conti in rosso. E i proprietari avevano avuto un’idea: farsi aiutare da Caruso, esponente di Fratelli d’Italia e dipendente dell’Agenzia delle Dogane, accusato di essere un uomo agli ordini dei Grande Aracri, il potente clan di ‘ndrangheta originario di Cutro che da decenni ha messo radici in Emilia Romagna. Da quel momento gli investigatori documentano i legami tra la storica società e gli uomini del clan. Intercettazioni in cui gli indagati citano anche il nome Federico Ghizzoni, all’epoca amministratore delegato di Unicredit. E che ricostruiscono come gli uomini della cosca fossero riusciti a truffare quasi sette milioni di finanziamenti europei all’Agea, l’agenzia per le erogazioni in agricoltura. Per questo motivo Massimo Scotti e Claudio Roncaia sono indagati insieme ai fratelli Giuseppe e Albino Caruso per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Roncaia è titolare dell’azienda, Scotti ne è l’amministratore delegato: è cugino del patròn del Riso Scotti, il noto “dottor Scotti” della famosa pubblicità televisiva. Ma andiamo con ordine.
L’intercettazione: “Dobbiamo pigliare la minna e succhiare”- Le vicende che portano le mani dei clan sul riso mantovano per il giudice Alberto Ziroli assumono “rilevanza centrale nell’economia della presente indagine, poiché costituiscono il terreno sul quale si è misurata la cifra criminale del sodalizio declinata sia sotto il profilo della capacità di comporre transattivamente contenziosi secondo le regole tipiche delle consorterie criminali, sia sotto quello – affatto peculiare alla cellula emiliana – della capacità di condizionamento di un’impresa in una situazione di difficoltà finanziaria, in una logica chiaramente proiettata a relazionare la protezione concessa al conseguimento del massimo profitto economico consentito”. A spiegare come intendeva gestire i rapporti con la Riso Roncaia è lo stesso Caruso, intercettato: “Io con Salvatore (il figlio di Francesco Grande Aracri ndr) gli parlo chiaro, gli dico: Salvato’, noi non la dobbiamo affogare sta azienda, dobbiamo cercare di pigliare la minna e succhiare o no?“.
L’incontro tra i manager i boss – Ma come mai l’antica società specializzata nella produzione di riso si era affidata ai Grande Aracri? Sono le intercettazioni a raccontare come Salvatore Grande Aracri avesse introdotto i Roncaia e Scotti agli altri esponenti del clan tramite lo zio Francesco Lerose, detto zio Ciccio. È il 2015 quando i protagonisti di questa storia s’incontrano da Cibus, la fiera alimentare organizzata a Parma ogni anno. “Allora queslo discorso è nato quando al Cibus a Parma, zio Franco glielo ha fatto conoscere … ci siamo seduti e abbiamo preso l’aperitivo con loro, c ‘era Scotti e c ‘era coso … Ricky e Zio Franco ha presentato a mio fratello, a me, a mio fratello dicendo insomma che… se avete bisogno quindi c ‘era pure Salvatore… eravamo Salvatore, Franco io e lui e c ‘era pure Gennarino, te lo ricordi Gennarino”, dice Albino Caruso, fratello di Salvatore. Tutto comincia quando la riseria inizia ad avere problemi legati ai debiti e chiede aiuto ai fratelli Caruso. I quali – come ricostruisce il giudice nell’ordinanza di custodia cautelare – “si erano immediatamente attivati per contattare un professionista, il quale era riuscito a far ‘togliere‘ i Roncaia dalla cosiddetta ‘centrale rischi“.
“L’angelo in paradiso”: l’ex ad di Unicredit – In quella vicenda spunta anche quello che gli investigatori definiscono un “angelo in paradiso“, citato dagli indagati: sarebbe intervenuto per tamponare i problemi economici dei Roncaia. Di chi si tratta? Sono le intercettazioni a ricostruirlo. Il 3 giugno del 2015 Caruso parla con Roncaia e si vanta ddelle sue entrature: “Hai visto come ci muoviamo? Sanno chi ha chiamato … di chi sei amico. Con l’Unicredit abbiamo risolto, stiamo per firmare un accordo 50% quello …siamo andati con è andato…da Ghizzoni e quello l’abbiamo risolto”. Per gli investigatori “si comprendeva il personaggio intervenuto per risolvere le problematiche di Roncaia era l’allora amministratore delegato di Unicredit Francesco Ghizzoni (in realtà si chiama Federico ndr)”. Il nome dell’ex numero uno di Unicredit viene citato anche da un altro dei Roncaia, Riccardo. “La pratica la mandarono via subito dalla città di Mantova, la mandarono a Milano, da Milano a Monza …quella siamo riusciti solo a prenderla perché l’amministratore delegato, Ghizzoni di Piacenza…siamo andati a casa sua…ci manda una persona che lo conosceva…in due giorni l’ha risolta”. Anche l’ad Scotti fa il nome dell’ex numero uno dell’istituto di credito di piazza Gae Aulenti a Milano: “È stato Ghizzoni ha fatto invenire l’ufficio legale di Unicredit che ha quindi formulato una richiesta alla quale loro (inteso Roncaia) avrebbe aderito…con l’ufficio legale, loro han determinato e han detto… guardale noi per chiudere vogliamo 600.000, aahh noi abbiam detto va bene tido 600.000 … chiuso, basta fine del gioco”. Ghizzoni, piacentino, non è in indagato. Secondo gli investigatori è possibile che le persone intercettate abbiano millantato di averlo conosciuto e incontrato.
La truffa sui fondi Ue per il riso ai poveri – Gli uomini dei Grande Aracri si muovono anche su un altro fronte: si attivano per garantire alla Riso Roncaia il finanziamento ottenuto dall’Agea, l’agenzia per le erogazioni in agricoltura dell’Unione europea. L’azienda del Mantovano aveva vinto un appalto per fornire riso – destinato ad aiutare gli indigenti – in cambio di 6 milioni e 800mila euro di fondi stanziati da Bruxelles. Problema: se l’azienda non avesse consegnato determinate quote di riso entro certe scadenze temporali, avrebbe dovuto pagare penali. E soprattutto non avrebbe incassato quanto dovuto. Era proprio il caso della società di Mantova, in difficoltà con le banche e dunque anche con i fornitori. Per questo motivo interviene Caruso. Il politico appena cacciato da Fratelli d’Italia, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, individuava “l’obiettivo da perseguire nel contatto con un soggetto che, successivamente, si sarebbe appreso identificarsi in Mario Pirillo“.
L’aiuto dell’ex europarlamentare del Pd – Chi è Mario Pirillo? Sono sempre gli investigatori a riferire che è “giornalista e politico del Partito Democratico (dal 2007), ex vice Presidente della Regione Calabria (dal 1995 al 1998), ex assessore regionale all’agricoltura in Calabria (sino al 2009), ex europarlamentare della VII Legislatura (2009-20 14)”. Un politico di peso, dunque, che tra il 2006 e il 2009 era stato vicepresidente dell’Agea. Per parlare con Pirillo, le indagini documentano come Caruso sia andato direttamente in Calabria. “Il tema ricorrente dei contatti con il Pirillo, emergente a più riprese ed in modo inequivoco, era quello di far ottenere a Riso Roncaia una proroga della data di consegna della fornitura di cereali prevista nel bando”, annota il giudice. Il 24 luglio del 2015, Caruso consegna a mano a Pirillo “il carteggio , ossia il verbale attestante la produzione del 5% del riso e la richiesta di proroga”. È quello che gli investigatori definiscono “l’attività di lobbing di Caruso”. Un’attività che interessa anche ai Grande Aracri, con i quali “i due Caruso non mancavano di relazionare”. La vicenda si conclude positivamente perché “in un periodo che va dal settembre al dicembre 2015, si rilevavano degli accrediti sul conto della Riso Roncaia acceso presso la Banca Popolare di Sondrio, derivanti dall’Agea, pari ad euro 7 milioni e 69mila, segno evidente che tutti gli sforzi prodotti avevano portato il risultato sperato”. La “minna”da succhiare era salva.