Felicità e realizzazione di sé sì, ma a che prezzo? Quando le foglie ridono (edizioni Sem), primo romanzo della giornalista Cristina Stanescu, presenta il conto di una Milano che sembra eternamente da bere, ma che offre soltanto bicchieri vuoti ad anime ubriache di un sogno individuale che non arriva mai. Primi anni Duemila. Nebbia, smog, freddo nelle ossa, metrò, cinemini d’essai, tv commerciali, ambiti appartamenti di periferie tutte uguali che non finiscono mai. Tre, anzi quattro amiche, e due fratelli che vengono dal Sud Italia pieni di creatività e buone intenzioni professionali. Poi c’è una casa di ringhiera. A Milano si lavora. Si può fare il salto. Ma Silvia è “in ritardo con la vita”, università balbettante sezione arte e fotografia, padre rovinato finito in carcere, apparizioni ad intermittenza per le feste comandate e i suoi vecchietti dell’ospizio portati a passeggio a vivere tra ballatoi e mercatini meneghini.
L’affascinante Roberta è arrabbiata col mondo, dove ci può essere uno spiraglio di bianco vede inevitabilmente grigio o addirittura nero. Pensa a mettere su famiglia con l’informatico Corrado, ma i soldi latitano, anche con i titoli giusti e le migliori intenzioni. E poi c’è Milena, la versiliana che attraversa Milano a falcate di bellezza e successo tra televendite e calciatori. Milena è quella che riannoda i fili del discorso e del racconto quando il romanzo inizia con la tragica fatalità di una vecchia casa saltata in aria. Ed ha l’aria disincantata di un disco della memoria recente che saltella sul piatto, questo Quando le foglie ridono. Descrizione lucida e immediata di un microcosmo sociale che non ce l’ha fatta.
I personaggi schizzano tra i loro desideri di possibile grandezza, filano veloci tre le righe di una scrittura semplice ma mai scontata, per un racconto muliebre che non offre mai, nemmeno in controluce uno spiraglio di cielo azzurro per l’avvenire. Come in Fedeltà di Marco Missiroli (Einaudi), candidato in cinquina per lo Strega 2019, Stanescu, reporter Mediaset fin dal 1995 per Studio Aperto, Lucignolo e redattrice di Quarto Grado, rintraccia i punti deboli di una generazione di quarantenni che ovunque si volta trova solo tracce di esistenziale disillusione. I cocci non si riattaccano più. E l’happy end è sempre più cosa solo per signorine.