Sindacati, commissari straordinari e azienda sono stati convocati al ministero dello Sviluppo Economico il 9 luglio per il tavolo di monitoraggio dell’accordo sindacale sull’ex Ilva. Sull’orlo della crisi – dopo l’annuncio della cassa integrazione e lo scontro sull’immunità penale – Luigi Di Maio accoglie la richiesta di Fiom-Cgil, Uilm e Fim-Cisl che da settimane sollecitano un incontro sul tema, essendo ormai passati 9 mesi dalla firma dell’intesa, avvenuta il 6 settembre 2018.
Poi dallo studio di Porta a Porta il vicepremier pentastellato se la prende con Matteo Salvini che in mattinata aveva chiesto “ampie garanzie” sul fatto “che non si stia scherzando o mettendo a rischio 15mila posti” di lavoro: “Le crisi aziendali si affrontano con trattative serrate – dice – La crisi aziendale non si risolve con un tweet o con un affermazione nel salotto e mi dispiace che ci sia stata un’interferenza (da parte di Salvini) su questa trattativa perché le interferenze la danneggiano”. Dal momento di impasse sullo esimente penale “se ne uscirà con il buon senso perché non accetto ricatti”. Di Maio spiega di aver “proposto una serie di alternative che consentiranno a Mittal di andare avanti. Sono d’accordo che non può pagare per gli errori del passato ma nessuno può dire allo Stato che chiude se non fa una legge. Al centro ci sono i cittadini di Taranto non le multinazionali”.
L’incontro con i sindacati e lo scontro con il leader leghista arrivano a poche ore dalle dichiarazioni dirompenti di Geert van Poelvoorde, ceo europeo di ArcelorMittal, che ha annunciato la volontà dell’azienda di non proseguire l’esperienza nell’acciaieria di Taranto se il governo italiano non muterà il proprio orientamento sulla fine dell’immunità penale, contenuta in una norma del decreto Crescita approvato definitivamente oggi al Senato e che scatterà a settembre. Una mossa che il vicepremier pentastellato ha definito “un ricatto”.
Sulla carta, il tavolo non è stato convocato per discutere della norma che dovrebbe invece essere il focus dell’incontro con il ceo Matthieu Jehl fissato il 4 luglio, ma sarà giocoforza un argomento centrale del dibattito, quantomeno a margine. All’ordine del giorno c’è invece la cassa integrazione che partirà l’1 luglio e colpirà 1.395 dipendenti dello stabilimento jonico per 13 settimane, con la prospettiva di un prolungamento – già trapelata dall’azienda – nel caso in cui la crisi dell’acciaio non dovesse terminare entro ottobre.
“Una gestione a dir poco incauta – spiega la segretaria Fiom, Francesca Re David – da parte del governo e un atteggiamento inaccettabile di ArcelorMittal stanno addensando una tempesta perfetta che rischia di travolgere non solo lo stabilimento di Taranto, e quelli collegati di Genova e Novi Ligure, ma anche di minare le prospettive dell’intero settore siderurgico”. Nella vertenza dell’ex Ilva, aggiunge Re David, c’è una “costante mancanza di trasparenza che in un modo o in un altro continua e anche questa volta si ripropone”. La leader dei metalmeccanici della Cgil si augura che il tavolo “faccia chiarezza su quello che succede, sulle reali intenzioni dell’azienda e sulle reali intenzioni del governo”.
Definendo “padronale” la gestione di ArcelorMittal, Re David definisce una “cosa veramente seria” il taglio dello scudo penale perché “non è che il risanamento di un disastro ambientale che parte dagli anni Sessanta si risolve in due giorni. Quindi è chiaro che l’andamento del piano deve essere accompagnato dal fatto che non si è responsabili man mano che si procede, non dei guai del passato”. Per il segretario della Uilm, Rocco Palombella, la vicenda del siderurgico di Taranto è “l’ennesima dimostrazione di come sulla pelle di migliaia di lavoratori si gioca il consenso elettorale”. Se davvero si dovesse arrivare alla chiusura dello stabilimento, aggiunge, “sarebbe un vero ‘capolavoro’ visto che Mittal in un colpo solo eliminerebbe un suo competitor dopo averne praticamente rubato il mercato”.
Duro anche il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo: “Le multinazionali scorrazzano nel nostro Paese, fanno quello che vogliono perché mancano le regole”. ArcelorMittal “produce 90 milioni di tonnellate di acciaio, ma all’Ilva solo 5, quindi vi immaginate quanto gli può pesare andarsene in un momento in cui magari c’è una contrazione delle vendite?”, si chiede Barbagallo aggiungendo che “il governo gli ha dato tutte le scuse plausibili per fare in modo che ci creino problemi”.
Sulla vicenda, oltre al vicepremier Matteo Salvini che ha invitato Di Maio a tutelare i 15mila posti di lavoro che ruotano attorno all’ex Ilva tra diretti e indotto, è intervenuto anche il senatore pentastellato Mario Turco precisando che ArcelorMittal “non ha il potere di chiudere la fabbrica in quanto è un semplice gestore temporaneo, in virtù di un discutibile contratto di affitto scadente nel 2021″. Ad avviso del parlamentare tarantino, con la norma sullo scudo nel dl Crescita “è stato trovato il giusto equilibrio tra diritto alla salute e diritto di produzione, laddove è stata prevista un’eliminazione immediata a partire dal 6 settembre 2019 solo per i reati contro la salute pubblica e la sicurezza sul lavoro mentre verrà progressivamente eliminata al completamento delle diverse attività contemplate dal piano ambientale contenuto nell’Aia”.