Le indagini per le violenze sui disabili di Manduria non sono chiuse. Anzi. Gli ultimi arresti, messi a segno dalla Squadra mobile di Taranto e della Servizio centrale operativo di Roma, hanno fatto luce sulla terribile storia del 66enne Antonio Stano e hanno acceso i riflettori anche su un’altra vicenda che riguarderebbe un altro disabile dello stesso comune di Manduria. Entrambi sono state vittime della baby gang che per mesi li ha torturati e – stando alla ricostruzione della polizia – quelle violenze potrebbero essere state concause della morte. I dettagli sono emersi dall’indagine che ora, però, si allarga verso due direttrici: i complici degli indagati e i familiari delle vittime.
Già, stando a quanto trapelato, la lente di ingrandimento degli investigatori in queste ore si sta concentrando, per la vicenda di Stano, sulle responsabilità di coloro che “più o meno prossimi all’ambiente familiare della vittima, hanno omesso di intervenire”. La solitudine dell’uomo, com’è noto, è stato un motivo determinante nella scelta di “lasciarsi morire” in casa dopo le ultime aggressioni, ma per i poliziotti, coordinati dal sostituto procuratore Remo Epifani e dal procuratore capo Carlo Maria Capristo, in molti sapevano ciò che accadeva e non solo non hanno denunciato la vicenda agli organi di polizia, ma neppure si sarebbero preoccupati di valutare dal punto di vista sanitario le condizioni di salute dell’uomo.
Non solo. Anche dalla nuova storia di violenza commessa sul secondo disabile emergono dettagli inquietanti che riguarderebbe le persone vicine alla vittima delle violenze e in particolare il fratello e la badante. Quest’ultima, infatti, solo un mese dopo l’aggressione avvenuto il 1 aprile scorso ha dichiarato ai poliziotti che da ben “sette anni, durante la notte, un gruppo di ragazzi si divertiva a disturbare il proprio assistito, suonando al campanello della sua abitazione”. Agli investigatori ha inoltre spiegato che all’ennesima azione della baby gang avvenuta in piena notte, l’uomo, ormai stanco e infastidito, aveva affrontato il gruppo di molestatori: uno di questi, prima di fuggire, lo aveva colpito violentemente al volto, provocando la rottura di quattro denti.
Seppure accortasi che l’uomo era sanguinante al volto, la badante non aveva ritenuto in un primo momento di richiedere l’intervento delle forze dell’ordine. La stessa vittima, forse per timore, aveva preferito inizialmente non confidare neppure al proprio fratello quanto accaduto: al parente aveva detto che i denti gli erano caduti durante la consumazione di un pasto. Solo dopo qualche giorno il fratello è venuto a conoscenza da un parente che l’uomo era stato in realtà aggredito.
Per il secondo aspetto, invece, le attività dei poliziotti è diretta a scoprire i complici degli indagati ancora rimasti senza nome. Da un lato coloro che avrebbero partecipato ad altre spedizioni organizzate dai due gruppi ribattezzati “Comitiva di orfanelli” e “Ultima di Carnali”, dall’altro invece anche i fiancheggiatori: coloro cioè che, come spiega la polizia in una nota stampa diffusa nelle scorse ore, “hanno agito invece al precipuo scopo di favorire gli indagati nel sottrarsi alle loro penali responsabilità”. Qualcuno insomma ha cercato di coprire quanto era accaduto. Prima, durante e dopo quelle notti di torture.