C’è Deliveroo che ha coniato l’hashtag #DeLoveroo, Just Eat che tappezza la metro di Porta Venezia con lo slogan “Abbiamo fame di diritti”. Amazon che per l’occasione è diventata “Glamazon”, Vodafone, Google e Aon che colorano i rispettivi loghi di arcobaleno. Tutto per la Pride week, la settimana dell’orgoglio Lgbt che si chiuderà sabato 29 giugno con la grande parata per le vie di Milano. “Si permette alle aziende di dire ‘ama chi vuoi, basta che poi ti lasci sfruttare‘. È inutile pubblicare manifesti pieni di buone intenzioni se poi ci si riduce a vetrina”, accusa Pier Cesare Notaro, presidente dell’associazione Il Grande Colibrì, che ha preparato anche dei cartelli ad hoc contro le sponsorizzazioni. “Non bisogna mai dimenticarsi da dove veniamo né perdere lo spirito di lotta”, sottolinea anche Luca Paladini del movimento I Sentinelli di Milano. I rider annunciano un’azione dimostrativa durante la parata, mentre gli organizzatori si difendono: “Senza gli sponsor non potremmo organizzare Pride così belli” e servirebbe “un confronto serio” per “stabilire criteri oggettivi e condivisi su quali accettare e quali no”, spiega il coordinare Francesco Pintus.
Quest’anno il corteo è dedicato al cinquantenario dei moti di Stonewall, gli scontri tra omosessuali e polizia di New York che diedero inizio all’emancipazione. “La prima volta fu rivolta” è lo slogan scelto dal comitato organizzatore. Ma il Milano Pride – il più famoso e partecipato d’Italia insieme a quello di Roma – è ormai un grande evento che muove centinaia di migliaia di persone l’anno e vanta tra gli sponsor le più grandi compagnie mondiali. Tra cui, appunto, Deliveroo e Just Eat, due tra i colossi della gig economy. Ed è proprio la loro vistosa impronta sul Pride di quest’anno a far storcere il naso a quella parte del mondo arcobaleno più sensibile ai diritti sociali e alla tutela dei lavoratori. Sono gli “intersezionali”, come li chiamano nell’ambiente: sigle e associazioni convinte che non esista lotta per l’emancipazione senza solidarietà verso ogni altra vittima di ingiustizie e soprusi.
Accuse di “rainbow-washing” – Tanto più che il manifesto politico del Pride, firmato dal Coordinamento arcobaleno – la rete di sigle che organizza il corteo – cita tra i “diritti di ogni essere umano” quello al “lavoro onorevolmente retribuito”. E questo, secondo alcuni, sarebbe inconciliabile con il finanziamento accettato da Just Eat e Deliveroo: aziende il cui rapporto con i dipendenti – gli ormai celebri rider, inquadrati come collaboratori occasionali o co.co.co, senza diritti o tutele – è perlomeno controverso. Sotto il post di Facebook con cui il Pride ha annunciato la sponsorizzazione di Deliveroo sono piovute reazioni di protesta: “Un bell’esempio del rispetto dei diritti di tutti”, “Evviva le aziende che sfruttano tutt* senza fare distinzioni di orientamento sessuale e di identità di genere”, o ancora “Diritti, diritti… e poi? L’appoggio di uno sponsor che i diritti dei suoi rider se li mette sotto le scarpe”. Il sospetto, insomma, è di “rainbow-washing”, una forma più specifica di pink-washing: cioè il tentativo di accreditare la propria azienda come gay-friendly per far dimenticare scandali e controversie.
“Ama chi vuoi, ma fatti sfruttare” – E c’è chi, come l’associazione Il Grande Colibrì, ha scelto di portare il tema direttamente in corteo, mettendo a disposizione sul proprio sito due cartelli dedicati da stampare e portare in piazza: “Ma quant’è bello farsi sfruttare da un’azienda gay-friendly?” e “Abbiamo fame di diritti. Sì, anche sul lavoro!”. “Parteciperemo al Pride come gli altri anni, ma non ce la sentiamo di applaudire aziende che sfruttano anche tanti di noi, migranti e richiedenti asilo costretti ad accettare un lavoro senza diritti per sopravvivere”, dice a ilfattoquotidiano.it il presidente, Pier Cesare Notaro. L’associazione, infatti, riunisce gli appartenenti alle minoranze (etniche, culturali, religiose) interne al mondo lgbt: cioè coloro su cui pesa, oltre all’orientamento sessuale, un secondo fattore di discriminazione. “Questo ci porta a fare molta attenzione ai diritti dei lavoratori”, spiega Notaro. “Non vogliamo insegnare a nessuno come si fa il Pride, ma ci interessa far emergere alcune contraddizioni. Un minimo di attenzione alla dignità e all’etica è necessario, anche nella scelta degli sponsor. Con queste bandierine piantate una volta all’anno si permette alle aziende di dire ‘ama chi vuoi, basta che poi ti lasci sfruttare‘. È inutile pubblicare manifesti pieni di buone intenzioni se poi ci si riduce a vetrina. Ci sembra assurdo – conclude – richiamarsi a Stonewall e a Sylvia Rivera (l’attivista trans che diede inizio ai moti, ndr): la Sylvia Rivera del 2019 non è su Instagram a mettere i cuori ai post di Deliveroo, ma in sella a una bici, sfruttata e senza diritti”.
I rider in sciopero – Sulle stesse posizioni c’è Luca Paladini, fondatore e portavoce del movimento I Sentinelli di Milano. “Noi abbiamo scelto di stare fuori dall’organizzazione, ma dall’esterno ci lascia molto perplessi l’accordo con alcune realtà che fanno a pugni con quanto è scritto nel manifesto”, dice. “Ci spaventa che un’azienda possa farsi bella nei giorni del Pride e comportarsi in modo poco etico tutto il resto dell’anno. Io sono felice che il Pride sia diventato una festa per tutti, ma non bisogna mai dimenticarsi da dove veniamo né perdere lo spirito di lotta. E la lotta non è mai a compartimenti stagni”. Non solo, ma proprio il giorno prima di quello del corteo – venerdì 28 giugno – è stato indetto lo sciopero dei rider in tutta la città dalle 17.30 alle 21, con i fattorini che ancora una volta chiedono salario minimo garantito, indennità di cassa, maggiorazioni per maltempo e lavoro notturno, ferie e malattia. “Nella lista degli sponsor del Pride di quest’anno compaiono anche nomi di impresentabili come Just Eat, Amazon, Randstad che tutto l’anno negano i diritti ai propri lavoratori e poi verso la fine di giugno si ricordano puntuali di partecipare a un appuntamento che ormai è sempre più uno dei tanti grandi eventi della città di Milano, per farsi pubblicità”, scrive il collettivo Deliverance Milano, annunciando un’azione dimostrativa durante il corteo. “Vogliamo un Milano Pride di cui tornare ad essere orgogliosi e non di cui vergognarci: non esistono diritti civili senza diritti sociali!”.
Visibilità e risorse – Gli organizzatori della parata, contattati da ilfattoquotidiano.it, difendono la scelta di accettare i marchi tra gli sponsor. “Non solo perché senza il loro contributo non potremmo organizzare Pride così belli, grandi e partecipati, ma anche perché ci permettono di aumentare la nostra visibilità: pensiamo alla stazione di Porta Venezia, colorata di arcobaleno grazie alla sponsorizzazione di Netflix”, dice Francesco Pintus, coordinatore del Milano Pride. “Sappiamo che una parte della nostra comunità non è d’accordo. Personalmente spero che sul tema si apra un confronto serio dal giorno dopo la manifestazione, che porti a stabilire criteri oggettivi e condivisi su quali sponsor accettare e quali no. Paradossalmente – spiega – siamo i primi a dover affrontare questo problema perché il Pride di Milano, essendo il più celebre e partecipato d’Italia, ha il maggior afflusso di sponsor. Ma è una questione con cui i Pride di tutto il mondo, compresi quelli di Paesi molto più evoluti del nostro, hanno dovuto fare i conti. E riguarda tutto il movimento Lgbt”.
La presa di posizione del Pd – Nella serata di venerdì è arrivata anche la presa di posizione del Pd milanese insieme ai Giovani Democratici di Milano. Il Pride è “un momento di lotta, orgoglio e festa, non solo della comunità LGBT+ ma di tutta la cittadinanza. Siamo rimasti colpiti dalla decisione di due aziende ormai parte della quotidianità milanese, quali Deliveroo e Just Eat, di sponsorizzare questa manifestazione”, scrivono in una nota. “Siamo però fermamente convinti che il progresso ed una società migliore si raggiungano solo se i diritti civili si accompagnano ai diritti sociali, come quelli sul lavoro. Per questo chiediamo a gran voce che le aziende Deliveroo e Just Eat, così come hanno saputo giustamente riconoscersi nelle battaglie del Pride milanese per i diritti civili, dimostrino la stessa sensibilità per i diritti dei propri lavoratori”, proseguono i democratici. “Paghe misere e tendenti al cottimo, niente sicurezza e assicurazioni inadeguate, nessuna trasparenza e chiarezza nella valutazione dei lavoratori: queste sono alcune delle condizioni degradanti che i rider lamentano. E condividiamo la loro frustrazione nel vedere datori di lavoro che difendono alcuni diritti e ne calpestano altri, facendo una scelta tra cosa conviene per ragioni di marketing”, aggiunge la nota.