Flavia Calleri è una giovane mamma di Savona che lavora in una libreria. La gentilezza fa parte del suo mestiere perché è tutto il giorno a contatto con il pubblico, ma lunedì scorso questa virtù è stata messa a dura prova. “Il mattino del 24 giugno sono andata al mare con mia figlia di due anni e mezzo – racconta – e ho scelto i bagni Iris, perché lì ci sono altri bambini amici di mia figlia. Già all’ingresso mi guardano storto perché non sono una cliente abituale. Dico che voglio pagare un ingresso giornaliero e mi rispondono che il lettino è obbligatorio. Rispondo che non lo uso perché, con mia figlia che si muove di continuo, non mi serve. Mi dicono che è obbligatorio per evitare che io posi l’asciugamani sul bagnasciuga e mi chiedono 10 euro. Replico, in modo del tutto normale, che mi sembra un po’ caro – di solito ai bagni pago 5 o 6 euro e spesso mi fanno entrare gratis – e a quel punto i gestori, marito e moglie, mi invitano ad andarmene: ‘Vada a chiedere altrove se non le sta bene. Noi qui facciamo così’. Dico che mi sta bene ma mi sembra solo un po’ caro’, ma quelli: ‘No, no, se la mette così, vada pure da un’altra parte. Qui funziona così’. A quel punto dico ‘Ok, pago. Ormai l’ho promesso alla bambina’. E ho dovuto insistere, perché continuavano a respingere i soldi e a dirmi di andarmene. Alla fine gli dico: ‘Basta, mi dia sto lettino e finiamola lì’. Ma dopo questa scena, mia figlia era nervosa. Voleva sempre stare in braccio. Così dopo un’oretta siamo andate via”.

Nel 2015 un episodio simile accaduto a Sabina Guzzanti al “Bau bau Village” di Albisola, e divenne un caso nazionale quando l’ira della protagonista produsse su Facebook oltre 22500 like di solidarietà. Alle 7 del mattino, racconta Silvia Campese su La Stampa, l’artista, che la sera prima ad Albisola aveva presentato il film La trattativa, “passa dalla spiaggia libera e si ferma sulla battigia, entro i cinque metri demaniali, dove è concesso il transito e si distende sull’asciugamano. Immediato l’intervento della titolare, che la fa spostare. Inizia un acceso battibecco, in cui la Guzzanti si appella alla normativa dei cinque metri, mentre la titolare le ricorda che non ha alcun diritto di sostare né di accedere alla spiaggia passando, con un cane, dalla spiaggia libera”. “Sono cresciuta sapendo che la spiaggia è di tutti – scrisse dopo la Guzzanti su Fb – ma oggi mi dicono che, anche nei 5 metri demaniali, posso solo transitare. Questo perché i nostri corrottissimi politici hanno venduto le nostre spiagge. Rispettare una legge ingiusta o ribellarsi? Io ho scelto la seconda!”.

Intervistato dalla Stampa, Enrico Schiappapietra, presidente dell’Associazione Provinciale e Regionale Bagni Marini, ha difeso la scelta dei gestori dei bagni Iris, dicendo che il pacchetto di accesso può essere individuato da ciascun gestore come preferisce, come il menù di un ristorante: “Non posso obbligare un’attività a cucinare il pesce se non vuole”.

La storia di Flavia Calleri sembra però configurare proprio il caso opposto e cioè quello di un cliente che chiede un bicchier d’acqua e gli viene venduto solo se, insieme all’acqua, acquista anche un pesce e, domani, chissà, magari anche una pizza o due gelati. Flavia Calleri non voleva affatto “ribellarsi a una legge ingiusta” come la Guzzanti: voleva solo evitar di pagare un servizio – il lettino – di cui non aveva alcun bisogno. “Io faccio pagare 6 euro, l’ingresso quotidiano con l’uso del cabinone – dice Paola che gestice i mitici Bagni Umberto, celebrati anche da Aldo Grasso, il decano dei critici tv – se poi chi ha pagato l’ingresso appoggia l’asciugamano sul bagnasciuga non mi dà fastidio”.

La rigidità con cui a volte vengono difese non solo le proprietà private ma anche i beni pubblici in concessione (come le spiagge) evoca lo sport nazionale della “difesa dei confini” e in un paese che ufficialmente professa la tutela della famiglia ciò contrasta con lo stato di totale abbandono dell’ultima spiaggia libera di Savona: quella della Margonara. Sopravvissuta a diversi tentativi di cementificazione – il più osceno, il cosiddetto “WaterFront”, prevedeva addirittura palazzine di tre piani fra la spiaggia e l’Aurelia, devastata dallo tsunami che ha distrutto la costa l’autunno scorso – oggi è una quinta di rovine e di detriti che ricorda il sud del Libano. Da anni un comitato di mamme, che l’hanno sempre curata e tenuta pulita, chiede invano che venga resa agibile.

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