Vi ricordate le leggi omnibus o le leggi finanziarie? Le nuove leggi di stabilità non sono molto diverse. Nello Sblocca cantieri c’è proprio tutto e il contrario di tutto. Si va dal piano per le colonnine elettriche (10 milioni) alle semplificazioni (?!) per le zone sismiche, al terremoto irpino del 1980, ai 300 milioni per Campobasso, Catania e L’Aquila, ai 4 milioni per le attività turistiche del Molise e della Sicilia. Accelerazione della ricostruzione in Abruzzo Lazio e Marche, esenzione imposte negozi inagibili (sisma di Amatrice), ristori per le imprese terremotate e interventi per scuole in zone sismiche: ecco i titoli contenuti nel decreto. Si conclude con 400 milioni per i Comuni sotto i 20mila abitanti per la messa in sicurezza di scuole e strade. Visto che erano inesistenti come definizione normativa, si cambierà l’infelice nome alle “autostrade ciclabili” e al loro relativo fondo.
La fantasia italica non ha eguali. Ma soprattutto, prima come oggi, le leggi di spesa sono veri e propri assalti alla diligenza grazie ai contributi a pioggia di ogni tipo. Anziché riorganizzare il sistema degli appalti per dare una classifica di priorità della spesa e per non aprire mille fronti amministrativi inutili, costosi, che annullano la già bassa capacità (e qualità) di spesa delle stazioni appaltanti pubbliche, il nuovo testo di legge procede esattamente in senso opposto.
Lo Sblocca cantieri è un attacco alla democrazia economica. Non velocizzerà la realizzazione delle opere. Favorirà il far west negli appalti ai danni della spesa pubblica, dei cittadini e dell’ambiente, a favore dei soliti noti. Le solite aziende vincitrici d’appalto, i soliti subappaltatori. Anziché adottare regole (poche) chiare, semplici, veloci come quelle di grandi Paesi europei che hanno recepito gli indirizzi comunitari, l’Italia decide di tornare indietro e di rendersi ancora più vulnerabile a fenomeni di corruzione. Ammazzando la competizione, si impedirà l’arrivo sul mercato di nuove imprese. Le norme approvate non abbassano gli eccessi di contenzioso, anzi.
Da un recentissimo studio dell’Ance emerge che tra le cause del blocco delle 630 opere ferme solo il 9% è da attribuire al codice degli appalti. Le vere cause che impediscono alle opere di “viaggiare” stanno in vizi procedurali/amministrativi nel 43% dei casi, in cause finanziarie nel 36%, per mancate decisioni politiche “solo” nel 19% dei casi. Basterebbero questi dati per capire che non sarebbe servita una riforma del codice degli appalti. Riforma che invece risulterà essere una vera e propria liberalizzazione degli appalti che peggiorerà il sistema.
Ci si ostina a non capire che il ritardo tecnico-culturale della Amministrazione Pubblica italiana e delle Università italiane, in materia di economia e finanza, è una delle cause non secondarie della mancata crescita economica rispetto agli altri paesi europei. Tale ritardo appare evidente nella valutazione economica della spesa pubblica corrente e degli investimenti. E’ il motivo principale della diffidenza degli investitori privati. Non sono i tedeschi a non fare crescere il Pil Italiano, ma sono gli italiani che si rifiutano di studiare e insegnare l’economia nel modo corretto. Non esiste al mondo nei paesi industrializzati una centrale degli appalti come la Consip e neppure un progetto di istituire centinaia di Commissari con annesse strutture per quasi ogni opera da realizzare. Alcune grandi opere sono già commissariate e i lavori non procedono spediti lo stesso, a dimostrazione che la soluzione non è il commissario (vedasi la Tav Torino-Lione da tempo commissariata).
Portare a 150mila euro il diritto di evitare le gare di appalto significa alzare la soglia di discrezionalità nella scelta togliendo ogni trasparenza nella assegnazione dei lavori. L’unico effetto è che, per far finta di accelerare le assegnazioni dei lavori, si escluderanno le imprese prive di coperture politiche che vorrebbero svilupparsi ed entrare nel mercato dell’edilizia. Consentire di modificare fino al 50% i progetti significa non poter valutare correttamente l’offerta per il costo dell’opera. Si approvano progetti anche con ribassi significativi che poi possono ricrescere senza controllo della spesa.
Il nuovo limite al sub-appalto viene aumentato dal 30 al 40%. Sarà una sorpresa per l’ente appaltante sapere non già chi vince la gara, ma chi effettivamente realizzerà le opere assegnate. Viene sospeso il divieto di ricorrere all’affidamento congiunto di progettazione e di esecuzione dei lavori e sospeso l’obbligo di scegliere i commissari di gara tra esperti iscritti all’albo Anac. In entrambi i casi è l’Anac ad essere imputato di rallentare i lavori, ma l’Anac è lo Stato! Allora si abbia il coraggio di sciogliere l’Anac, che altrimenti resta solo un costo, un osservatore frustrato. Comunque una minaccia di Stato per le stazioni appaltanti e i commissari, chiamati a utilizzare deroghe e norme speciali che potrebbero favorire reati dei quali potrebbero in futuro essere chiamati a rispondere.
Infine il sub-appalto al perdente la gara favorisce la realizzazione di cartelli tra imprese prima della gara a danno della stazione appaltante. Esce con le ossa rotte da questo decreto l’Anas. Viene commissariata in Sicilia con la nomina di un commissario straordinario per la messa in sicurezza e il potenziamento della rete viaria dell’isola (quello siciliano è il più grande compartimento regionale per spesa e per addetti). Via libera alla nomina dei commissari per il Mose e il Gran Sasso.
Si mette mano al sistema autostradale, buone le intenzioni ma inefficaci. A concessione appena autorizzata (senza gara) si autorizza l’Autobrennero a sostenere tre costosi interventi: l’Interporto di Trento, quello di Isola della Scala (Vr) e quello fluviale di Valdaro (Mn). Il recupero delle risorse necessarie si attuerà con un aumento dei pedaggi autostradali. Si scambia per uno stop allo strapotere dei concessionari la norma che tutela il funzionario ministeriale che revoca la concessione autostradale inadempiente. La tutela dell’interesse pubblico viene scaricata sui funzionari. Meglio sarebbe stato definire a parte un progetto di riordino del sistema concessionario che smontasse complessivamente le tutele e le norme che garantiscono la rendita di posizione ed extraprofitti dei concessionari da 20 anni.
Trattandosi di centinaia di opere – molte sono le stesse della legge obiettivo del 1994 – il governo si è dimenticato di dire che con centinaia di commissari, e di questi molti con una struttura amministrativa annessa, si potranno avere anche migliaia di occupati in più. Si aggiungeranno alla pletora di funzionari inutili che già pullulano nella pubblica amministrazione. Molti di più dei 2.800 navigator da assumere.
A conclusione del provvedimento di allargamento della spesa senza orientamento strategico e senza calcolarne la redditività pubblica (benefici), una ciliegina. Anzi una ciliegiona: l’istituzione di Italia Infrastrutture SpA per gestire meglio i cantieri delle opere pubbliche in ritardo (??!!) con un capitale di 10 milioni detenuto dal ministero dell’Economia e controllato da quello delle Infrastrutture. Questo non è forse già il compito del ministero di Danilo Toninelli?