Post modificato e aggiornato alle ore 15.36 di domenica 30 giugno
Oggi ho scoperto qualcosa di sensazionale grazie a Panorama (e già è una notizia che Panorama pubblichi qualcosa degno di nota). Reggetevi forte e ingoiate una compressa di Xamamina: la crew di Sea Watch sarebbe pagata. Già, avete capito tutti: pa-ga-ta. Non sono fichetti radical chic che spendono i soldi delle famiglie per fare i missionari come pensavate, ma veri e propri dipendenti di una Organizzazione non governativa che la stampa buonista continua a chiamare “volontari”. Ma quale volontario! Pensate un po’: percepirebbero fino a 2000 euro al mese per stare a bordo e questo scoop spiegherebbe tante cose.
Partiamo da un presupposto difficile da mettere in dubbio: se un odiatore qualsiasi, o un amplificatore editoriale di odio qualsiasi, si disperano per il cane che ha commosso il web (quello con il carrellino al posto delle zampe posteriori, presente no? Abbiamo una clip per ogni specie) e schiumano di rabbia per il salvataggio di un essere umano è semplicemente buonsenso. Così come è buonsenso che non esistano samaritani e chiunque là fuori faccia qualcosa non potrà che farlo per un doppio fine: in questi casi un lauto stipendio a tre zeri.
L’ufficio stampa di Sea Watch (probabilmente pagato, non lo sappiamo) un po’ ridimensiona lo scoop: a bordo, in principio, sono volontari. Ma per garantire la sicurezza di tutti e continuità, alcuni membri della crew sono pagati. Ridimensionato o meno, poco importa: chi non andrebbe a farsi strizzare le budella dal mare grosso per due o tre settimane di fila, a gestire una delle situazioni più borderline che la psiche umana possa concepire, per soldi? La Capitana Carola, ad esempio, pare si sia comprata una casa in Inghilterra. Per la stampa acquistata dai genitori ma sappiamo che la stampa ci dice solo ciò che vuole.
In questa situazione è ovvio che la Ong organizza missioni continue: ci sarà certamente la fila, magari per occupare quei “posti a pagamento”. D’altronde, parliamoci chiaro: quale preparazione ci vorrà mai per prendersi cura, sotto il sole a 45 gradi, di donne incinte, bambini, donne stuprate, uomini trattati come bestie per mesi o anni nello spazio calpestabile di una cantina o per tenere la calma laddove anche Cristo in persona cercherebbe una scialuppa per fuggire? Ma nessuna, è ovvio. Eppure prenderanno più di un animatore in crociera, per stare in mare giusto qualche settimana e poi si lamentano con frasi buoniste del tipo “siamo allo stremo”. Roba allucinante.
Panorama dice che guadagnano 1500-2000 euro al mese, Sea Watch non ci dice quanto (e figurati!) ma se fosse confermato meglio non parlare di quanto si può fare in Olanda, stato di bandiera di Sea Watch, con 1500 euro. Se lo scopriste, la giusta indignazione monterebbe come una marea: niente. Assolutamente niente. Con 1500 – che è quanto si prende con il bijstand, il reddito di cittadinanza olandese – al massimo si va in strada a mendicare. Una somma simile si guadagna da cassiere junior ad Albert Heijn, la catena nazionale di supermercati. Badate bene, junior perché sopra i 23 anni prenderebbero di più. Così questi pseudo-mercenari avrebbero trovato l’America (anzi, l’Italia) prendendo somme che ad Amsterdam non sarebbero sufficienti neanche per pagare un affitto (lasciamo stare per vivere) da una organizzazione no profit. Chi non farebbe la fila per imbarcarsi? E non staranno nascondendo qualcosa?
Nulla a che vedere con i radical chic di una volta, quelli con “l’attico con vista centro storico (mettete città a piacere) a spendere i soldi di papà”. Questi nordici, da buoni calvinisti, invece, fanno come si fa in quelle nazioni con una cultura delle Ong: l’organizzazione si rende solida economicamente e lo staff si paga per consentirgli di svolgere l’attività di interesse generale a tempo pieno (e senza morire di fame). E non c’è mica solo lo staff di bordo: ci sono addetti stampa, ricercatori, lobbisti – già, perché Sea Watch si propone di cambiare l’approccio alle migrazioni e di promuovere una legislazione umana. Ma per farlo ha bisogno di chi cura i rapporti con la politica – e c’è tutta la struttura che deve tenere in piedi un’organizzazione di questo tipo.
Qualcosa da nascondere l’avranno per forza, altrimenti – da bravi parassiti di sinistra – chiederebbero soldi pubblici. Perché non lo fanno? Perché non pesano sulle finanze pubbliche, come fanno i radical chic con i loro costosi hobby, utilizzando solo il sostegno della gente? Per mostrare indipendenza dalla politica, autonomia e soprattutto una comunità che li sostiene? Ma no, guardate bene, dietro ogni euro raccolto ci sarà certamente Soros (scusate se lo nomino solo ora, ma non avevo trovato un altro paragrafo dove inserirlo).
I conti, naturalmente, sono opachi per Panorama – figuriamoci – perché evidentemente loro non hanno a che fare con il fenomeno delle donazioni, più difficili da gestire del meteo in Olanda: fare piani sulla base di donazioni è molto complesso, molto più complesso, per esempio, che per quelle testate con i conti in rosso ma con un editore sempre pronto a staccare assegni (ovviamente non parliamo di Panorama). Ecco, per una Ong, se i soldi non ci sono, la geometria delle attività cambia.
Oggi, insomma, grazie a Panorama ho capito quanto poco abbiamo capito della Sea Watch e di quanti salvano vite a pagamento (anche se, con quel pagamento, nei Paesi Bassi non si copre neanche l’affitto).