Le accuse che i pm le rivolgono sono la violazione dell'articolo 1100 del codice della navigazione, che sanziona con la pena massima di 10 anni chi fa violenza o resistenza a una nave da guerra, e il tentato naufragio, previsto dagli articoli 110 e 428 del codice penale, e sanzionato con la pena massima di 12 anni. Il senatore De Falco: "Quella della Finanza non è una nave da guerra"
Resistenza a una nave da guerra e tentato naufragio. Sono questi i reati contestati dalla procura di Agrigento a Carola Rackete, la comandante della Sea Watch arrestata all’alba dopo aver violato l’alt della Guardia di Finanza ed essere entrata nel porto di Lampedusa speronando una motovedetta delle Fiamme Gialle nel tentativo di arrivare in banchina. La capitana è al momento agli arresti domiciliari sull’isola di Lampedusa.
Rackete è stata arrestata in flagranza. Dopo la notifica dell’arresto ha indicato un’abitazione a Lampedusa come domicilio in cui scontare i domiciliari. Entro 48 ore la Procura di Agrigento, guidata da Luigi Patronaggio, dovrà chiedere al gip la convalida dell’arresto. Il giudice delle indagini preliminari ha altre 48 ore per fissare l’udienza, che si terrà ad Agrigento, in cui si dovrà decidere se convalidare o meno il provvedimento. Rackete verrà interrogata tra lunedì e martedì prossimo dal gip del tribunale
Secondo quanto si apprende, Carola Rackete non verrà processata per direttissima, ma il caso seguirà le vie ordinarie. Le accuse che i pm le rivolgono sono la violazione dell’articolo 1100 del codice della navigazione, che sanziona con con una pena che va dai 3 ai 10 anni chi fa violenza o resistenza a una nave da guerra. E poi il tentato naufragio, per aver urtato la nave della Guardia di Finanza, previsto dagli articoli 110 e 428 del codice penale, e sanzionato con una pena che va dai 5 ai 12 anni. Il primo recita: “Il comandante o l’ufficiale della nave, che commette atti di resistenza o di violenza contro una nave da guerra nazionale, è punito con la reclusione da tre a dieci anni. La pena per coloro che sono concorsi nel reato è ridotta da un terzo alla metà”. Il tentato naufragio invece è disciplinato dall’articolo 428 del codice penale e recita: “Chiunque cagiona il naufragio o la sommersione di una nave o di un altro edificio natante, ovvero la caduta di un aeromobile, di altrui proprietà, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni”. Rackete, dunque, rischia fino a ventidue anni di carcere in totale.
La Procura, nelle prossime ore, valuterà anche se ci sono profili di reato nella condotta dell’equipaggio della nave. Nessuna responsabilità è invece configurabile per i parlamentari che sono a bordo della Sea Watch. La violazione del decreto legge Sicurezza bis è stata contestata dalla Guardia di finanza non solo al comandante della Sea Watch, ma anche all’armatore e al proprietario della nave battente bandiera olandese con sanzioni per 16mila euro a testa. Il minimo previsto era di 10mila, mentre il massimo di 50mila euro. I tre potranno, adesso, fare un ricorso al prefetto di Agrigento, Dario Caputo, oppure dovranno pagare. Se non faranno né l’una, né l’altra cosa entro 30 giorni dalla data di notifica delle sanzioni – secondo quanto si apprende – il prefetto potrà anche raddoppiare o fare arrivare fino ad un massimo di 50mila euro la sanzione.
C’è, però, chi avanza dubbi sulle contestazioni alla comandante della Sea Watch. “L ‘arresto di Carola Rackete è stato fatto per non essersi fermata all’alt impartito da una nave da guerra ma la nave da guerra è altra cosa, è una nave militare che mostra i segni della nave militare e che è comandata da un ufficiale di Marina, cosa che non è il personale della Guardia di Finanza. Non ci sono gli estremi. La Sea Watch è un’ambulanza, non è tenuta a fermarsi, è un natante con a bordo un’emergenza. La nave militare avrebbe dovuto anzi scortarla a terra”, dice Gregorio De Falco, ex comandante della Guardia Costiera e attualmente senatore del Gruppo Misto, dopo essere stato eletto dal Movimento 5 stelle. “Sea Watch non avrebbe potuto andare in altri porti, il più vicino è Lampedusa e non aveva alcun titolo a chiedere ad altri, sebbene lo abbia fatto. Ha atteso tutto quello che poteva attendere – continua De Falco – finché non sono arrivati allo stremo; a quel punto il comandante ha detto basta ed è entrata per senso di responsabilità. E’ perverso un ordinamento che metta un uomo, o una donna in questo caso, di fronte a un dramma di questo tipo. Quella nave aveva un’emergenza e aspettava da troppo”.