Le aziende statunitensi potranno continuare a vendere beni a Huawei, a patto che le “attrezzature non rappresentino un grosso problema di sicurezza nazionale” e che siano "ampiamente disponibili in altri Paesi. Un segnale positivo per l'azienda cinese, ma resta da chiarire quali saranno i prodotti autorizzati e a quali condizioni.
Il Presidente americano Donald Trump ha fatto un piccolo passo indietro sulla messa al bando di Huawei: in occasione del G20 di Osaka, in Giappone, ha dichiarato che le aziende statunitensi potranno continuare a vendere beni a Huawei, a patto che le “attrezzature non rappresentino un grosso problema di sicurezza nazionale”. In altre parole, significa che qualora determinati componenti non possano essere impiegati per attuare gravi minacce per il Paese, possono tornare ad essere oggetto di relazioni commerciali fra aziende statunitensi e Huawei.
La precisazione è stata fatta dal Presidente del Consiglio economico nazionale, Larry Kudlow, che ha sottolineato che non siamo davanti a “un’amnistia generale” nei confronti di Huawei. La società di Shenzhen, infatti, continuerà a far parte della blacklist che include quelle aziende i cui scambi commerciali sono limitati in quanto rappresenterebbero un problema per la sicurezza nazionale. “Tutto ciò che accadrà è che il Dipartimento del Commercio concederà alcune licenze aggiuntive in caso di disponibilità generale” per le parti necessarie all’azienda cinese.
Più in dettaglio, le fonti riportano che la tecnologia statunitense che Huawei può acquistare dev’essere costituita da componenti e software disponibili in tutto il mondo. Ad esempio, alcuni chip venduti da società statunitensi che sono disponibili presso altri fornitori in altri Paesi.
A questo punto gli analisti (e non solo) si chiedono se il blocco applicato da Google sui servizi di Android in ottemperanza al decreto presidenziale possa o meno decadere. Tecnicamente i servizi Google sono concessi in licenza dall’azienda statunitense e non sono “ampiamente disponibili in altri Paesi”. Prima di trarre conclusioni tuttavia sarà bene attendere conferme ufficiali al riguardo, perché i molti risvolti politici e commerciali della vicenda non permettono di liquidare la questione in maniera semplice.
Senza dubbio siamo di fronte a un segnale positivo per Huawei, ma da solo non è sufficiente per sbrigliare una matassa tanto annodata. Se non accadrà altro il 19 agosto, quando scadranno i termini della proroga, si potrà capire di più. La sensazione però è che non servirà tanto tempo: alcuni esponenti politici statunitensi sono già sul piede di guerra per la “concessione” parziale di Trump fatta a Osaka, in più è probabile che nei prossimi giorni circolerà la lista dei “prodotti ampiamente disponibili negli altri paesi” e si capirà meglio cosa Huawei potrà provare ad acquistare e cosa no.
Nel frattempo Huawei continua a lavorare al famoso “piano B” che prevede lo sviluppo di un sistema operativo proprietario con cui rimpiazzare Android.