Il presidente del Consiglio ha parlato a margine del summit fiume tra i 28 membri Ue. L'azione dell'Italia e di una decina di altri Paesi, soprattutto dell'Est Europa, ha fatto naufragare, almeno temporaneamente, il piano escogitato dall'asse franco-tedesco. Mattarella: "Auspico che si trovi assieme un’intesa per far partire la vita delle istituzioni". Macron: "Fallimento dell'Ue perché qualcuno ha delle ambizioni"
L’accordo ipotizzato nella mattinata di lunedì, con l’ex primo vicepresidente della Commissione Ue, l’olandese Frans Timmermans, che avrebbe dovuto sostituire Jean-Claude Juncker alla guida di palazzo Berlaymont, è saltato. Tutto rinviato a martedì mattina a causa dell’opposizione di 10-11 Paesi, tra cui anche l’Italia. A margine del summit, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha spiegato le motivazioni del ‘no’ alla proposta: “Abbiamo visto che il sistema (del candidato di punta, ndr) è sbagliato – ha dichiarato – Non abbiamo niente contro la candidatura di Timmermans, politico di assoluto valore, ma non possiamo accettare un pacchetto di nomi stabilito altrove con un sistema che non funziona”. Il capo del governo ha anche detto che in sede di Consiglio non si è nemmeno arrivati al voto: “Ci sarebbero dei problemi tecnici, perché si vota sul presidente, sulla singola posizione, quindi se c’è un pacchetto votarlo è improprio. Le norme non lo prevedono”, ha spiegato. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, chiede che “si trovi assieme sollecitamente un’intesa per far partire la vita delle istituzioni, anche perché l’Ue ha di fronte a sé alcune grandi sfide da governare, dal clima ai migranti, dall’economia alla sicurezza”.
Insieme all’Italia, “con motivazioni diverse”, ha spiegato, ci sono molti dei Paesi dell’Est Europa e, dicono fonti europee a Ilfattoquotidiano.it, anche una parte del Partito Popolare, quella più conservatrice che voleva Manfred Weber alla guida della Commissione in quanto Spitzenkandidat della formazione vincente. Le stesse fonti riferiscono, però, che non c’è un veto italiano su Timmermans e che, di fronte a un accordo più solido, Roma potrebbe anche essere ago della bilancia in favore del candidato Socialista in cambio di garanzie dal punto di vista della flessibilità economica.
La notte europea sembrava aver prodotto un quadro più chiaro di quello uscito dal primo summit tra Capi di Stato e di governo del 21 giugno. Una notte di contrattazioni, non priva di scontri, rotture, perdenti e vincitori. Ma alla fine, l’asse franco-tedesco sembrava convinto di ottenere l’ok della maggioranza qualificata del Consiglio sul nome di Timmermans. Una scelta condivisa dall’ala federalista del Ppe con a capo Angela Merkel e dai Liberali di Emmanuel Macron, e pilotata da Martin Schulz, che ha creato una spaccatura interna ai Popolari, con i conservatori che hanno giudicato un tradimento l’abbandono di Manfred Weber.
E l’irritazione per la bocciatura si legge proprio nelle parole del presidente francese: “Abbiamo finito questa giornata con quello che si può chiamare un fallimento – ha dichiarato -, perché non è stato trovato un accordo e credo che abbiamo dato un’immagine molto negativa dell’Europa. Nessuno può essere contento dopo tante ore. Questo fallimento è dovuto alle divisioni in seno al Partito popolare europeo e di tipo geografico in seno al Consiglio”. Poi ha aggiunto: “È mancata una dinamica collettiva. Sono state più persone che non hanno facilitato l’intesa perché avevano delle ambizioni. Quello che è mancato attorno al tavolo è stato il sentimento ed il dovere di difendere l’interesse generale europeo”.
Più pacata la reazione della cancelliera tedesca che, invece, ha spiegato: “Non siamo andati al voto perché nessun candidato avrebbe avuto la maggioranza”. Inoltre, anche una maggioranza con un margine troppo esiguo, ha poi aggiunto Merkel, “non sarebbe stato abbastanza, anche se sufficiente in base alle regole, al fine di evitare tensioni” che avrebbero potuto condizionare il futuro dell’Ue.
Il piano franco-tedesco: ai Popolari Parlamento (a metà) e Consiglio Ue
L’accordo sulla figura di Timmermans farebbe scattare tutte le altre nomine a cascata per i top jobs europei. Con i Socialisti, seconda forza europea nonostante il calo di consensi generale, che hanno otterrebbero la carica più alta dell’Unione, ai Popolari spettano le altre due nomine pesanti. La prima preoccupazione è stata quella di trovare una carica di livello, e di ripiego, per Manfred Weber, colui che, secondo la prassi del candidato di punta, doveva sedere ai piani alti del Berlaymont. Per lui, i sostenitori della linea Merkel-Macron hanno pensato alla presidenza del Parlamento Ue per il primo mandato della legislatura (durante i cinque anni, si alternano due presidenti). Dopo due anni e mezzo, il suo posto verrebbe invece affidato a un Liberale e altro personaggio passato in secondo piano dopo l’approdo di En Marche alla plenaria: il capogruppo uscente di Alde ed ex primo ministro belga, Guy Verhofstadt. Una soluzione, però, non gradita al bavarese della Csu che in cambio dello stop alla corsa per la Commissione chiede un mandato doppio di 5 anni a capo della plenaria.
I Popolari, nell’ambito del pacchetto di nomi uscito, saranno anche espressione, in continuità con il mandato di Donald Tusk, del Consiglio europeo, con la bulgara ed ex Commissario europeo per il bilancio e le risorse umane, Kristalina Georgieva, che sarà anche la rappresentante dei Paesi dell’est europa, tra i principali oppositori alla nomina di Timmermans.
L’altro nome speso dai Liberali e fortemente sostenuto dal presidente francese, Emmanuel Macron, per la corsa alla presidenza della Commissione europea è quello di Margrethe Vestager, che potrebbe raccogliere il testimone di Federica Mogherini nel ruolo di Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (Pesc).
Ma se ogni partito che formerà la maggioranza di governo ha ricevuto le proprie cariche e l’equilibrio tra provenienza geografica, Paesi più influenti e parità di genere sono stati rispettati, chi da queste cariche sembra rimanere fuori sono due Stati di prima fascia: la Francia e la Spagna di Pedro Sánchez, segretario generale del più importante partito socialista d’Europa per numero di seggi in plenaria, il Psoe.
Dopo 8 anni di presidenza italiana, con Mario Draghi che vedrà scadere il proprio mandato a novembre, Parigi doveva tornare alla guida della Banca Centrale Europea dopo l’era di Jean-Claude Trichet tra il 2003 e il 2011. Sul nome non ci sono ancora certezze, anche se sono tre quelli circolati con maggiore insistenza in queste settimane. Se il Direttore Operativo del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, sembra quello più improbabile, il testa a testa sarebbe tra Benoît Cœuré, membro del board, e il governatore della Banca di Francia, Francois Villaroy del Galhau. Quest’ultimo, secondo quanto riferiscono fonti europee a Ilfattoquotidiano.it, sembra in netto vantaggio sugli altri. Una nomina, questa, importante per Parigi, che ha bisogno di maggiore respiro viste le promesse economiche fatte dal presidente Macron per fermare l’ondata di proteste dei gilet gialli e che potrebbe però rappresentare un vantaggio anche per l’Italia che in quella posizione perde Mario Draghi.
La Spagna, invece, dovrebbe ricevere, come già anticipato da Ilfattoquotidiano.it, un commissario di peso come quello all’Economia. A succedere a Pierre Moscovici potrebbe essere l’attuale ministro dell’Economia di Madrid ed ex direttrice generale del bilancio della Commissione europea, Nadia Calviño. Un altro nome positivo per l’Italia, visto che in patria il governo Sánchez sta portando avanti politiche nel pieno rispetto dei parametri Ue ma che promuovono, grazie anche all’influenza esercitata dagli alleati di Podemos, maggiore flessibilità per il rilancio economico del Paese. C’è da dire, però, che negli ultimi cinque anni Madrid ha più volte lamentato la mancanza di ruoli di primo piano per i suoi politici, anche confrontando la propria posizione con quella italiana. Oggi, con maggior peso europeo, Madrid potrebbe puntare a scavalcare l’Italia nelle gerarchie europee tra i 28 Paesi membri.
Il ruolo di Martin Schulz e il “tradimento” di Angela Merkel
Dietro le contrattazioni per proporre Timmermans come successore di Jean-Claude Juncker, riferiscono fonti europee a Ilfattoquotidiano.it, ci sarebbe l’ex presidente del Parlamento Ue, il socialista Martin Schulz. È lui, dicono, ad aver fatto da mediatore tra Merkel e Macron e, in seconda battuta, tra tutti gli altri capi di Stato e di governo che hanno deciso di sostenere, o cedere, di fronte al nome dell’ex ministro degli Esteri olandese. Dopo il veto di Macron su Weber, che la Merkel non ha comunque difeso strenuamente in quanto espressione di una corrente diversa all’interno della Cdu-Csu e, tra l’altro, sostenuto in un momento di concessioni nei confronti dell’ala conservatrice bavarese per problemi legati alla maggioranza governativa in Germania, il presidente della Commissione non poteva essere né un tedesco né un francese.
Questo ha fatto saltare anche l’ipotesi che voleva il capo negoziatore per la Brexit, Michel Barnier, come sostituto in corsa: francese, ma membro dell’ala più liberale del Ppe, sembrava la sintesi perfetta tra Merkel e Macron. Chi invece è un buon punto d’incontro è proprio Frans Timmermans, inizialmente in seconda fila: Socialista, ma primo vicepresidente fedele della Commissione Juncker a trazione Ppe, progressista e disposto al dialogo con Renew Europe e Ppe per una riforma dell’Ue. Inoltre, c’è un’altra caratteristica fondamentale che spingeva la candidatura di Timmermans: era il lead candidate dei Socialisti e questo, almeno in apparenza, permetterebbe all’Ue di salvare la prassi dello Spitzenkandidat e far digerire la proposta anche al Parlamento Ue che dovrà approvarla a maggioranza assoluta. Un metodo contro il quale, però, Paesi come l’Italia hanno deciso di opporsi.