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Beatles, la storia dell’uomo che si ritrovò a cantare brani scritti per lui da Paul McCartney

La storia di Peter Asher è in fondo quella meno romanzata del protagonista di Yesterday, il film di Danny Boyle in uscita il 4 luglio: un rocker fallito si risveglia dopo un incidente in un mondo in cui nessuno conosce i Beatles, a parte lui. E come il Troisi di Non ci resta che piangere, ricicla brani di Lennon e McCartney e diventa la nuova popstar mondiale

di Francesco Oggiano

Ha cantato le canzoni di uno dei migliori compositori del secolo; è arrivato al primo posto delle classifiche americane; ha girato il mondo ancora prima di compiere 25 anni. E tutto, non ce ne voglia, perché era il fratello della fidanzata di Paul McCartney. Tra tutti i «quinti» Beatles mancati e quelli aggiunti, Peter Asher è stato il più strambo: il Beatles per gentile concessione. La sua storia è in fondo quella meno romanzata del protagonista di Yesterday, il film di Danny Boyle in uscita in Italia il 29 settembre: un rocker fallito si risveglia dopo un incidente in un mondo in cui nessuno conosce i Beatles, a parte lui. E come il Troisi di Non ci resta che piangere, ricicla brani di Lennon e McCartney e diventa la nuova popstar mondiale.

Peter Asher ha fatto più o meno lo stesso, solo 55 anni prima. Il 28 febbraio 1964, assieme all’amico 19enne Gordon Waller con cui forma il duo Peter and Gordon, rilascia il singolo di debutto A world without love. È una ballata struggente di quelle mccartneyane, fatta di chitarre, batteria e organo, che parla di un amore adolescenziale non ricambiato, e di lui che preferisce farsi rinchiudere (Please lock me away), solo con la sua solitudine (where I hide / With my loneliness) piuttosto che stare in un mondo senza amore (I won’t stay/ In a world without love)

La canzone diventa una hit: prima nel Regno Unito, poi in Europa, infine in America. Peter Asher inizia a mostrare al mondo la sua voce e il suo look con caschetto sopra le orecchie, occhiali neri spessi e denti sporgenti (sì, il look a cui si ispirerà Mike Myers per il suo Austin Powers). E poco importa che di quella canzone lui non sappia nulla. A scrivergliela e regalargliela è stato Paul McCartney, nello scantinato di casa. Succede che qualche mese prima Paul aveva iniziato a frequentare la sorella di Peter, Jane. E dopo un po’ avesse deciso di lasciare l’appartamento che condivideva con gli altri tre Beatles, per trasferirsi nella casa di Jane a West London. Sotto lo stesso tetto c’erano Peter, sua sorella Jane, i genitori, e poi c’era Paul McCartney in mansardina, nella camera degli ospiti.

Erano già gli anni di A hard day’s night, ma non ancora quelli di Sgt. Pepper’s. Durante le lunghe giornate Paul si rifugiava nel seminterrato dell’appartamento. Si sedeva al piano della mamma di Peter e componeva cose «And i lover her», «Eleaonr Rigby» e «I want to hold your hand», di cui Peter fu il primo ascoltatore al mondo. «Quel giorno a casa era venuto John Lennon, con un foglio in mano», racconta Asher a Slate. «Paul mi chiamò dallo scantinato e mi chiese di scendere giù. Voleva farmi ascoltare un brano nuovo. Lui e John si sedettero fianco a fianco sulla panca del piano e iniziarono a suonare». Peter non c’era, invece, la mattina in cui McCartney si svegliò in quella casa con la melodia di Yesterday in testa: «Ma fu mia madre, la prima persona al mondo a sentirla. Lui la suonava chiedendo alle persone cosa fosse. Non aveva ancora capito che l’aveva scritta lui».

Quando non ascoltava le canzoni più importanti del secolo in un seminterrato, Asher studiava psicologia e suonava con l’amico Gordon Waller. Senza troppo successo, in realtà. Un giorno però i due vengono messi sotto contratto dalla Emi, che gli riserva una sessione di registrazione in uno studio e gli chiede di portare un po’ di canzoni inedite. Peter è leggermente disperato. «Avevo sentito Paul accennare A world without love. “Stiamo cercando nuove canzoni”, gli chiesi. “Posso provare la tua?”». Paul, che ha scritto quella canzone anni prima, che non la reputa un capolavoro e che tutto sommato è sempre stato un uomo molto più generoso di com’è stato descritto negli anni, annuisce. «Prese la chitarra e nel giro di otto minuti completò la canzone, aggiungendo i versi e creando il bridge con la chitarra. Era perfetta».

I due registrano la canzone, che diventa una hit mondiale. Nel giro di pochi mesi, mesi in cui la domanda di gruppi «beatlesiani» è altissima in tutto il mondo, Peter and Gordon diventano un gruppo di culto. «Per alcune persone eravamo la copia dei Beatles. Molti pensavano: “Non mi posso permettere un biglietto dei Beatles, ma uno dei Peter and Gordon sì”». Quando Peter torna dalla tournée mondiale nella sua casa a Londra, ad aspettarlo trova Paul, con un’altra canzone per lui: «Nobody I Know». A quella seguiranno, «I Don’t Want to See You Again» e «Woman». Quattro canzoni di McCartney, quanto basterebbe a chiunque per farci una carriera.

Ma le cose regalate sono sempre le prime a esaurirsi. Nel 1966 sia McCartney che Peter lasciano quella casa con lo scantinato a Londra. E due anni dopo, in seguito al flop di un disco che doveva essere il loro Sgt. Pepper, Peter e Gordon sciolgono il loro duo. I 55 anni che seguirono furono tranquilli per tutti. Gordon ci ha riprovato con un album da solista, che è passato quasi inosservato, ed è scomparso nel 2009. Jane ha fatto l’attrice con discreto successo, ma ancora oggi viene ricordata come la donna che ha ispirato Yesterday. La casa in cui viveva con Peter e i genitori, e in cui Paul ha scritto quelle canzoni là, è diventata una Spa di lusso. Peter ha lasciato la musica cantata e si è dedicato a quella prodotta, diventando manager della Apple Records dei Beatles e in seguito produttore di successo (lavorando per James Taylor, Cher e Neil Diamond).

Vive a Los Angeles, adesso. Quando gli viene chiesto se da produttore rimetterebbe in commercio i suoi dischi, risponde che no, «non avrebbero mercato…». Ma lui si è mai sentito un Beatles? «Dipende cosa si intende. Un giorno, durante il tour in America, un bimbo in ascensore mi chiese se fossi un Beatles. Gli dissi: “No, io faccio parte di un’altra band”. Ma in realtà mi stava chiedendo altro. Mi stava chiedendo se fossi parte di quel fenomeno là, fatto di tagli a caschetto e vestiti strani: “E sì, ero un Beatles”».

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