Dopo la soglia epocale del 1989, si è registrato l’avviamento della quarta guerra mondiale, come l’ha battezzata Costanzo Preve. Successiva alla terza (la cosiddetta “Guerra Fredda”), è la guerra che la vincente monarchia talassocratica del dollaro ha dichiarato a chiunque non pieghi al nuovo ordine mondiale, ad esso sottomettendosi docilmente. È, per sua essenza, il bellum permanente che il Leviatano a stelle e strisce ingaggia contro gli oppositori della mondializzazione con capitale a Washington: suddetti oppositori o si rassegnano al loro inedito ruolo di colonie periferiche o terminano le loro esistenze terrene mediante l’intervento degli eserciti del Bene made in Usa.
Figura centrale della nuova mise en forme del conflitto, il nuovo imperialismo etico con democrazia missilistica incorporata, decreta che sono “governi legittimi” sempre e solo quelli che traggono la propria legittimità dal Fondo Monetario Internazionale e non certo dalla volontà politica del popolo sovrano. Santificato dal clero intellettuale composto da assordanti megafoni dell’atlantismo mondialista e neocoloniale, il Leviatano a stelle e strisce sempre di nuovo ricorre alle guerre umanitarie e alle sovversioni colorate per giustificare e nobilitare l’espansionismo neocolonialistico.
Una tale superbia, gravida di irresponsabilità, richiama magneticamente alla mente le parole del Trattato politico (VII, 27) di Spinoza: “La superbia è propria dei dominanti” (dominantibus propria est superbia).
Il pacifismo è, a tutti gli effetti, l’ideologia di giustificazione dell’imperialismo Usa, ossia della santificazione della sola violenza legittima dei dominanti: esso destruttura lo ius resistentiae e il suo fondamento, per cui alla violenza è giusto reagire con la violenza (vim vi repellere licet). Figura, di fatto, come l’introiezione, da parte dei dominati, dell’ordine dominante, che chiede di essere “pacificamente” accettato così com’è, senza sollevazioni e senza spirito di scissione.
In questa luce di neo-colonialismo occultato e incensato come “interventismo umanitario” deve essere letta, tra l’altro, la normalizzazione euro-atlantica delle aree dell’ex Unione Sovietica, nel frattempo sprofondata nell’abisso post-1989.
L’espansione della Nato a Est avvenne per il tramite dell’adesione all’Alleanza atlantica, instrumentum privilegiato dell’imperialismo geopolitico alla mercè degli interessi del cosmomercatismo finanziario della monarchia a stelle e strisce, da parte delle repubbliche ex-sovietiche di Georgia e Ucraina, successivo a quello del 2004 dell’Estonia, della Lettonia e della Lituania. L’obiettivo era, chiaramente, la rioccupazione dello spazio geopolitico post-sovietico, includendo nell’alleanza atlantica la Moldavia, la Georgia e l’Ucraina e sottraendo territori e influenza alla Russia visibilmente depotenziata dopo il 1989.
Mediante le “rivoluzioni colorate” – la nuova forma del golpe postmoderno –, vengono metodicamente rovesciati i governi non allineati e non ancora retti dalla norma della free market democracy.
In seconda battuta, tali aree vengono depredate mediante speculatori d’ogni sorta, presentati sotto la categoria – nobilitante quanto fuorviante – di “investitori stranieri” (o, non di rado, di “filantropi”). Fu, tra l’altro, il caso della Serbia post-1999, grazie alla rivoluzione colorata gestita dal gruppo Otpor (“resistenza”), la srl della rivoluzione, scuola del golpe postmoderno a beneficio del nuovo ordine mondiale. Essa era composta da ammiragli del mondialismo, da alfieri della modernizzazione capitalistica e da araldi del liberalismo cosmopolitico a open mind e open society illimitate. Costoro erano foraggiati a flusso continuo della finanza internazionale e appoggiati ideologicamente a reti unificate dal circo mediatico e dal clero postmoderno (la rete televisiva atlantista MTV in prima fila).
Fu quanto avvenne, ad esempio, con la “rivoluzione delle rose” in Georgia nel 2003, per il tramite di un regime change anti-russo e filo-atlantista. Fu, ancora, quanto si verificò con le cosiddette “primavere arabe”, il cui obiettivo corrispondeva alla dissoluzione dei nazionalismi arabi e all’occidentalizzazione dei Paesi con politica e immaginario non ancora integralmente saturati dalla forma merce .