Divisioni alla vigilia del voto sul rifinanziamento delle missioni all'estero, compresi gli accordi Italia-Libia firmati da Minniti quando era ministro. Orfini vuole che si stracci tutto: "Non possiamo contestare Salvini e poi sulla Libia votare come il governo e non vedere i lager". Renziani all'attacco della nuova segreteria. Delrio: "Partito unito sul 99,9% delle questioni estere"
Il passato? Non si cancella, né si mette in discussione. Almeno al Nazareno. Perché seppur il segretario Pd Nicola Zingaretti continui a rivendicare di voler “costruire l’alternativa”, la linea politica degli anni di governo resta nei fatti. Intoccabile. Un esempio? Gli accordi con la Libia, già sottoscritti dall’esecutivo Gentiloni nel 2017 e sbandierati dal predecessore al Viminale di Matteo Salvini, Marco Minniti. Accordi che in Aula si dovranno o meno riconfermare domani (o al massimo giovedì) con il voto sul rifinanziamento delle missioni all’estero.
A pochi giorni dal caso Sea Watch, così, è lo stesso partito dem che rischia l’implosione sulla risoluzione a sostegno della Guardia costiera libica, tutt’altro che nota per il rispetto dei diritti umani di migranti e rifugiati. Il motivo dello scontro in casa Pd? La scelta dell’ex presidente del partito Matteo Orfini di rivendicare che quegli accordi vengano stracciati. Con tanto di firma – insieme ad altri deputati Pd come Giuditta Pini, Gennaro Migliore, Fausto Raciti – su una mozione presentata da parlamentari di LeU e +Europa, che punta a stoppare accordi e finanziamenti alla Marina libica.
Una posizione contraria rispetto a quella del gruppo dem, che, attraverso la risoluzione scritta dalla deputata Lia Quartapelle, invece quei patti ancora difende. Anche per non dover smentire gli anni di governo e la linea Minniti. Eppure Orfini tiene il punto: “Affidare alla guardia costiera libica la gestione dei flussi significa relegare la gente nei lager. Non possiamo contestare Salvini e poi sulla Libia votare come il governo”, insiste l’ex presidente dem, intervenuto nel corso di un’accesa assemblea dei deputati democratici, durata circa tre ore, che doveva risolvere il nodo Libia al Nazareno. E che invece si è risolta, non è una novità, con un nulla di fatto. Ma non solo. Perché a infastidire i “dissidenti” dem sono state più che altro le assenze, tutt’altro che irrilevanti.
A partire da quella del neo segretario Zingaretti, che ha preferito delegare il tutto al capogruppo alla Camera Graziano Delrio, costretto a dover mediare per trovare un compromesso. Ed evitare l’ennesima faida interna. “La nostra linea resta quella Minniti? Come si fa ad essere solidali con Sea Watch e poi rifinanziare il sostegno alla Guardia costiera libica? Ne sta discutendo il gruppo parlamentare”, taglia corto con il Fattoquotidiano.it lo stesso Zingaretti, per poi fuggire da ulteriori domande, a margine di un evento alla regione Lazio sui rifiuti. Un’iniziativa organizzata nello stesso orario dell’assemblea. Un caso? Chissà. Certo è che il segretario non intenda prendere posizione, almeno per ora, al di là di quanto richiesto dentro il partito. Ma se il segretario fugge e non partecipa, non sono da meno né il neo presidente ed ex premier Paolo Gentiloni, né lo stesso Minniti, nemmeno presenti alla riunione dem a Montecitorio: “Incredibile e inaccettabile che ancora una volta Gentiloni e Minniti si sottraggano a questa discussione in una sede politica. Sono stato presidente del Pd per cinque anni e tutte le discussioni più laceranti le ho portate in sede di partito. Questa volta non si è fatta nessuna riunione prima di presentare le risoluzioni, nonostante lo abbia chiesto più volte”, ha continuato Orfini, puntando il dito pure contro il segretario.
In maggioranza, invece, si punta a screditare la battaglia politica di Orfini: “Soltanto riposizionamenti di corrente, vogliono soltanto strumentalizzare per attaccare il segretario”, c’è chi rivendica in casa zingarettiana. In pratica, i tempi supplementari dell’ultimo Congresso, con i fedelissimi renziani che ora si scagliano contro Zingaretti, per rivalersi sul duo Gentiloni-Minniti, riciclatosi con il nuovo corso: “Discussione importante, forse andava fatta prima. Di certo andava fatta col segretario”, provoca non a caso la vicepresidente del Pd Anna Ascani, già candidata alla guida del partito in ticket con Roberto Giachetti alle ultime primarie. E con lei altri renziani, come Ivan Scalfarotto, chiedono chiarimenti alla nuova segreteria sulla Libia. “Dividerci sulla Libia è stupido e autolesionista. Serve buonsenso, dobbiamo continuare a mediare, poi possiamo pretendere chiarezza e pugno duro con i libici. A Orfini dico: son contento che abbiano riscoperto i valori della sinistra. Ma non si può fare propaganda”, taglia corto Francesco Boccia.
In assenza del segretario, del presidente e dell’ex ministro simbolo e ideatore degli accordi con la Libia (Minniti, ndr), l’ingrato compito della difesa degli anni di governo spetta così a Enzo Amendola, che sentenzia: “L’ingerenza umanitaria in Libia è una scelta politica di sinistra, non quella di stracciare gli accordi e andar via”, spiega il responsabile Esteri del Pd. Paradossalmente, poco dopo aver espresso solidarietà a chi è salito sulla Sea Watch. Amendola insiste, di fronte alle rimostranze di Orfini e del gruppo ribelle: “L’obiettivo del Pd è di mettere in mora l’attuale governo che in Libia è desaparecido. Serve svuotare i campi attraverso i corridoi umanitari e i rimpatri volontari”, aggiunge. Tutto mentre Quartapelle attacca: “Le missioni che stiamo rinnovando sono state già votate, anche da chi oggi dice no; la prima volta il 2 agosto 2017 e poi anche il 19 dicembre del 2018, quando già c’era l’attuale governo in carica”.
Gennaro Migliore, un altro che ha firmato la risoluzione di LeU, però non ci sta: “Una tesi senza fondamento. Quartapelle sa benissimo che da dicembre a oggi la situazione è cambiata, peggiorata a causa della guerra civile. Ma non solo: non si può dire più che in Libia c’è una Sar (zona di ricerca e salvataggio, ndr) perché finché non viene definito un porto sicuro per me la Sar è illogica ”. E ancora: “Parlano di battaglia di corrente? Sbagliano, c’è chi è d’accordo con noi anche tra i zingarettiani”, taglia corto.
Al momento, però, una quadra non è stata ancora trovata. Nonostante Delrio, tra i corridoi di Montecitorio, avesse rassicurato i cronisti presenti: “Siamo d’accordo sul 99,9%, sulla politica estera e l’approccio alla Libia. Qualcuno vorrebbe solo più di garanzie di legalità sulla guardia costiera. Ci prendiamo qualche ora”. Di fatto, però, la porta a chi chiede di stracciare gli accordi è chiusa. Perché, a chi gli chiede se sia possibile una riformulazione della risoluzione, Delrio risponde: “Tecnicamente non credo”. Tradotto, in Aula, al di là dell’atteggiamento che verrà deciso dal gruppo, il Pd rischia comunque di andare in ordine sparso: “Ci aggiorneremo, stiamo lavorando in queste ore. Dario Franceschini ha proposto una mediazione, ancora da decidere”. Ma c’è chi ironizza: “Senza accordi, rischiamo di votare l’uno contro l’altro”. Al momento, però, nessuno esclude addirittura una sorta di (auto) “Aventino”, nel tentativo di coprire le divisioni: astensione o uscita dall’Aula, al momento del voto sulla guardia costiera libica, sono così le opzioni ancora in campo.
Quel che è certo è che alla fine della riunione, però, nessuno abbia avuto molta voglia di esporsi fuori dal Palazzo, tra fughe, silenzi e imbarazzi, per poi rifugiarsi nei lavori d’Aula. Il prossimo round avverrà con una nuova riunione mercoledì mattina, prima dei lavori parlamentari. Già sarebbe una svolta se Zingaretti, Gentiloni e Minniti decidessero di partecipare.