Tra il 2017 e il 2018 diverse perizie hanno certificato il deterioramento di alcune parti della struttura a causa della corrosione. Con la richiesta di sostituzione degli steli veramente compromessi. Ecco una cronologia dai documenti del Consorzio Venezia Nuova
“Anni di polemiche, di parole, di idiozie, se mi è consentito, di efferate balle raccontate artatamente per rallentare quella che oggi possiamo definire, ma potevamo farlo anche ieri, come l’opera di ingegneria idraulica piu’ avanzata della storia dell’umanita”. Così parlava un tempo Giancarlo Galan, governatore del Veneto, finito in carcere per lo scandalo Mose. Evidentemente non si trattava di una mirabilia, se le “cerniere” ora sono divorate dalla ruggine, come dimostra l’appalto da 34 milioni di euro varato dal Consorzio Venezia Nuova. Proprio riferendosi a questa fondamentale componente, che serve ad alzare le dighe mobili, Galan gongolava, riferendosi alla produzione padovana (impresa Fit) delle cerniere: “Solo questo dovrebbe lasciarci emozionati e soddisfatti per quello che siamo riusciti a fare, lì fuori in un’azienda a Selvazzano, a pochi chilometri da dove sono nato, con tutti i prodotti in larghissima misura di questa Terra. Questo è il simbolo della nostra imprenditoria, della capacità di innovare, dell’essere davanti a tutti di fronte al mondo”.
A distanza di qualche anno, basta scorrere i documenti del Consorzio Venezia Nuova per capire come paratie e cerniere siano lontane dall’essere un’opera perfetta. Il fatto è che i responsabili sapevano da tempo che erano in cattive condizioni, anche se ufficialmente, negli ultimi anni, si sono registrate solo smentite. Adesso i documenti, allegati al bando, raccontano un’altra storia.
Cominciamo dall’agosto 2017. In un incontro al Consorzio, il professor Carlo Brutti illustra quanto è stato svolto in un sopralluogo a Malamocco, dopo un allagamento. “Sono state svolte le prove di permeabilità sia sulle opere strutturali non trattate sia su quelle ripristinate dalle imprese in seguito alle osservazioni. E i risultati hanno evidenziato che i calcestruzzi trattati dall’impresa per risolvere i problemi riscontrati hanno fornito risultati peggiori di quelli non trattati”. L’umidità e le infiltrazioni non erano state sconfitte.
Da tempo il problema dei materiali era tenuto presente. Non a caso nel dicembre 2017 il Provveditore alle Opere pubbliche del Triveneto, Roberto Linetti, scrive una lunga mail a Francesco Ossola, uno dei commissari che si occupano del Mose dopo gli arresti avvenuti alcuni anni fa. Già allora chiedeva una gara riguardante i materiali e lo stato degli “steli” delle cerniere. Auspicava la “stesura di un disciplinare tecnico per la realizzazione degli altri 42 steli che tenga conto delle osservazioni/suggerimenti RINA (Registro Navale Itaiano, ndr) e Isecke (un esperto internazionale, ndr), risultati della sperimentazione sui due prototipi”. E aggiungeva: “La gara internazionale, suddivisa in fasi distinte, permette di ri-focalizzare, dopo la realizzazione dei prototipi, il disciplinare per le successive fasi di produzione, se necessario. La tempistica di tali fasi sarà guidata dai risultati dello studio sulla vita residua, dando priorità alla produzione/sostituzione di quegli steli che risulteranno veramente compromessi”. Un lavoro sul campo e che dovrebbe avvenire a fasi successive, senza sostituire tutte le componenti.
Basta tornare a sei mesi prima, nel maggio 2017, per rinvenire una relazione del Provveditorato stesso che dimezzava (50 anni) la durata prevista delle cerniere o di una loro parte. “In base al tasso massimo di corrosione ricavato dalla corrosione effettivamente misurata localmente in corrispondenza di un’ulcera (quindi già da considerarsi particolarmente penalizzante) si può considerare che si raggiunga un diametro residuo pari a 160 mm in almeno 50 anni, per cui sulla base delle osservazioni sperimentali e delle ipotesi di carico che sono state stimate la vita minima utile dello stelo può essere posta pari a 50 anni”.
Sono altri sopralluoghi, registrati e documentati anche con foto nell’aprile 2018, a dimostrare la gravita della situazione. Alla bocca di Malamocco, i professori Donatella Mascia e Carlo Brutti certificano. “La bocca è immersa nell’umidità ad un livello tale che si innesca il deterioramento di tutte le strutture installate. Un esempio su tutti le ringhiere di protezione, in materiale zincato, che evidenziano un notevole stato d’ossidazione. Basta passare una mano per rimuovere ossidi bianchi. Sono mostrati segni di umidità con macchie evidenti persino sulla struttura in calcestruzzo”. Ne segue una proposta: “Occorre avviare un programma sistematico, completo e cadenzato di manutenzioni, controlli, pulizie e riparazioni su tutti gli elementi metallici inseriti nelle gallerie delle quattro bocche per minimizzare, per quanto possibile, gli effetti della corrosione”.
Durante un altro sopralluogo (marzo 2018) a Treporti un rappresentante dell’impresa Chiarotto (gruppo Fit-Mantovani), giustificandosi, “fa presente che è necessario mantenere aperte le porte stagne per favorire la ventilazione e ridurre gli evidenti fenomeni di condensa”. Il commento degli esperti del Consorzio: “Tale richiesta è auspicabile, ma in contrasto con le attuali disposizioni di sicurezza”.
Il documento più importante è la relazione del Registro Navale Italiano (Rina) che nel settembre 2018, risponde alle domande sulla durata delle cerniere, evidenzia tre scenari: che non si adottino misure di protezione, che si coprano le parti metalliche con grassi, che si intervenga anche sulle condizioni ambientali di temperatura e umidità. “Sulla base dei calcoli eseguiti, si ricava che gli steli di Treporti non sono in grado di garantire la vita operativa richiesta di 100 anni in nessuno dei tre scenari ipotizzati. In particolare, il contributo preponderante all’avanzamento dei difetti iniziali è dovuto alla corrosione”.
Entrando nel dettaglio, “dal punto di vista strutturale la zona più critica è quella del sotto testa (degli steli, ndr), per la quale si prevede, per il tasso di corrosione stimato negli Scenari 1 e 2, una durata di 13 anni”. E quindi: “La zona della testa andrà verificata periodicamente per confermare o meno lo sviluppo di difetti di questo tipo”. Ma ci sono anche “guarnizioni e filettatura, con una durata calcolata dell’ordine dei 30 anni. La protezione con il grasso non migliora le previsioni di durata per le zone di sotto testa e guarnizione, con una vita stimata largamente inferiore ai 100 anni”. E’ invece parzialmente efficace in altre parti, consentendo di arrivare a 44 anni di vita. Conclusione allarmante del Rina: “Gli steli del sito di Treporti potranno essere eserciti nelle condizioni attuali, senza condizionamento, per una durata di 27 anni. Particolare attenzione va prestata alla zona del sotto testa, dove, in caso di propagazione di difetti circonferenziali, seppur ritenuti poco probabili, si prevede una durata di 13 anni”.