Le connessioni tra il mandamento di Brancaccio e i Barbaro di Platì: gli investigatori hanno tracciato almeno tre viaggi attraverso lo Stretto, a bordo di un Audi A1 piena zeppa di microspie. Pietro Luisi è riuscito questa mattina a fuggire al blitz della Squadra mobile. Era lui a fare da tramite dopo Di Marzo (arrestato): "Ci dobbiamo mettere d'accordo con tutte cose e mi devo mettere d'accordo con la fiducia"
“Ora che tu me li hai presentati, io arrivo, so che persone sono”. A parlare era Pietro Luisi, uno dei fedelissimi del mandamento di Brancaccio, a cui era stato riservato il “privilegio” di essere accreditato con i trafficanti di cocaina calabresi. Per il gip “aveva di certo raggiunto un elevato ruolo gerarchico, se solo si consideri che poteva permettersi di relazionarsi direttamente con i trafficanti calabresi e acquistare ingenti quantità di sostanza”. Ma quando stamattina gli agenti della Squadra Mobile sono andati ad arrestarlo nell’ambito del blitz Maredolce 2, non lo hanno trovato a casa. Nell’immediato sono partite le ricerche, così come due anni fa quando fu arrestato due giorni dopo l’operazione Double Track a cui era sfuggito.
La cocaina viaggiava dalla Calabria a Palermo e gli eredi dei Graviano (arrestati nel 1994 a Milano) non potevano restare a secco. Per questo l’attuale capomafia di Corso dei Mille, Luigi Scimò, detto Fabio (tra gli arrestati del blitz) aveva riattivato i canali ereditati dal boss Giuseppe Guttadauro (di cui era braccio destro, ndr) e dal narcotrafficante Salvatore Miceli. Il legame con i due uomini del latitante Matteo Messina Denaro fu svelato dall’indagine Igres (in cui fu indagato anche Scimò) che nel 2003 documentò l’accordo tra famiglie di Cosa nostra (gli Agate di Mazara del Vallo), ‘ndrangheta (i Marando di Platì) e i narcos colombiani per far arrivare la cocaina in europa dall’America Latina.
Scimò è un vecchio volto di Cosa nostra, condannato nel 2007 con sentenza definitiva a 14 anni. Nel 2017 – dopo l’arresto di Pietro Tagliavia – aveva ereditato la reggenza della famiglia mafiosa e aveva messo a disposizione i contatti che collegano la Sicilia alla Calabria, prima attraverso il genero Pietro Di Marzo (arrestato anche lui) e poi tramite Pietro Luisi, adesso ricercato. Gli investigatori hanno tracciato almeno tre viaggi attraverso lo Stretto, a bordo di un Audi A1 piena zeppa di microspie: 1 dicembre 2016, 3 e 5 febbraio 2017.
In occasione del primo viaggio, Di Marzo (che viaggiò con Pasquale Militerrlo, uomo di fiducia di Scimò, ndr) fu intercettato mentre ordinava due cassate da portare in viaggio e ricordava “alla moglie di chiedere a suo padre i soldi per l’indomani”. Soltanto nel secondo viene permessa la presenza di Luisi che poi tornò da solo il seguente 5 febbraio. In entrambi i casi l’obiettivo era incontrare la famiglia ‘ndranghetista dei Barbaro di Platì (Reggio Calabria): Pasquale, il padre Giuseppe ma soprattutto Francesco Barbaro, pluripregiudicato per reati di droga. La loro abitazione era al sicuro. “Lo sai perché?”, diceva Di Marzo a Luisi: “È tranquillo perché c’è sempre qualcuno dentro casa sua, non può entrare nessuno a mettere… dice: ‘ma da sempre, mi hanno fatto le perquisizioni‘”.
Secondo le indagini, i palermitani avevano “dato dei soldi ai trafficanti calabresi che avrebbero dovuto consegnare lo stupefacente a quelli della Bandita” (una zona di Brancaccio) ma dopo l’arresto di alcuni di loro “il denaro investito era andato perduto” e i palermitani vantavano “un credito nei confronti dei calabresi”. “Com’è che si sono bloccati i soldi a quelli della Bandita?”, chiedeva Luisi. Di Marzo rispondeva: “Si sono inventati soldi, lavoro… quando gli abbiamo dato i soldi, dopo due giorni a quelli li hanno arrestati tutti“.
Di ritorno in auto dalla Calabria, i due commentavano il secondo degli incontri. “Per prima mi devo mettere d’accordo con il prezzo – diceva Pietro Luisi al socio – ci dobbiamo mettere d’accordo con tutte cose e mi devo mettere d’accordo con la fiducia“. Il ricercato è fratello di Salvatore Luisi che nel 2010 fu arrestato per mafia e droga in un’indagine sulle connessioni tra la Cosa nostra siciliana e quella newyorkese. “A Milano ci stavamo venti ore, la portavo io la macchina, allora i soldi si guadagnavano con i secchi”, raccontava Pietro che da esperto precisava come “a qualcuno gli sembra che è facile il lavoro del traffico”. In un faccia a faccia con i Barbaro si era detto disponibile a mettere su una piazza di spaccio nei quartieri di Palermo. Da oggi però è ricominciata la sua fuga.