Altri e ben più autorevoli commentatori di questo giornale hanno per fortuna già approfondito i controversi aspetti economici e politici delle Olimpiadi invernali del 2026. Ma, siccome il primo slogan propagandistico ufficiale è addirittura “sostenibilità”, è il caso di aggiungere alcune prime considerazioni di tipo squisitamente ecologico.
1. Queste grandi competizioni sportive mondiali sono finalizzate a incrementare colossali giri d’affari, a partire da quelli dei main-sponsor, come del resto purtroppo quasi tutto il cosiddetto sport stesso, e provocano pure tanto altro inutile consumo di suolo, per non dire dell’inquinamento atmosferico e di quel che celano in termini di corruzione nella pratica agonistica, anche solo di asservimento alle industrie farmaceutiche e del doping.
2. In epoca di riscaldamento globale, con la morsa del caldo che ci attanaglia, le Olimpiadi invernali sono diventate, aldilà dello spreco di soldi pubblici, un caso d’ingente e sfacciata distruzione delle risorse naturali, in primis del bene più prezioso che è l’acqua. Lo si è visto in modo plateale a Sochi, località dal clima subtropicale dove gli uomini di Putin hanno approntato una riserva di 710mila metri cubi di neve, accumulata negli anni precedenti e conservata in qualche modo, oltre a una rete d’impianti con 400 cannoni sparaneve alimentati da un’enorme deposito d’acqua.
Si dà il caso che l’allarme siccità risuoni ormai da anni anche tra le regioni italiane coinvolte nell’Olimpiade del 2026, nel Veneto in particolare, e bisognerebbe pur chiedersi a chi e a quali altre attività andrà sottratta la colossale quantità d’acqua necessaria a preparare le piste di gara. E’ vero, sono state pur scelte località di montagna dove qualche sporadica precipitazione nevosa è ancora attesa, ma non è detto che arrivi per tempo, e non a tarda primavera, come è successo quest’anno: oltretutto il mese clou dell’evento, febbraio, ha segnato quest’anno un’impennata media di +4°C al Nord, con episodi di caldo anomalo in quota.
3. Con la sola eccezione della cittadina sudtirolese del biathlon Anterselva, le località montane inserite nello schema multipolare – pensiamo solo Cortina e alle lombarde Bormio e Livigno – sono già state saccheggiate a dovere per decenni dalla speculazione edilizia e dal distrut-turismo, nonché godono di una condizione di benessere economico tra le migliori d’Italia, dal che quindi non si vede nessuna necessità che possa giustificare ulteriori scempi ecologici.
4. I due luoghi simbolici innalzati come vessillo per conquistare queste Olimpiadi, ossia la fu “capitale morale” e le Dolomiti, vivono ormai in una situazione al limite dell’accettabile il rinnovato fascino turistico internazionale, con un numero di presenze già soverchiante: quasi dieci milioni nella sola metropoli lombarda; un rapporto di 43 a 1 rispetto ai residenti nelle aree sotto ai monti patrimonio Unesco.
Infine, tutti sanno bene come la Milano del cibo, del design e della moda condivida con le province impreziosite dalle Dolomiti il destino di finire ingolfate ad ogni minimo appuntamento di calendario, che sia un salone fieristico o un bel weekend d’apertura degli impianti sciistici.
Il dado è tratto, come si suol dire, e forse è troppo tardi, oltre che impopolare, dire No 2026. Ma almeno seguire attentamente i progetti degli organizzatori e cercare di limitare i danni è ancora possibile. Perciò vale la pena di riparlarne a fondo.