“Che coraggio che hai avuto a fare un figlio, e che coraggio a farne due!”.

La sintesi dell’ultima indagine dell’Istat, che certifica il declino demografico dell’Italia (in 5 anni è scomparsa una città come Palermo) sta tutta qua: nell’idea che per fare uno o più figli oggi occorra avere coraggio.

Mi sorge il dubbio: sarà mica perché dopo il risicatissimo bonus bebè e il “bizzarro” bonus per le mamme che decidono di lasciare il lavoro per accudire i figli, l’ultima trovata per incentivare la crescita demografica non è stata altro che date terreni gratis a chi fa il terzo figlio?

In effetti è proprio così, già da tempo fare figli in Italia significa assumersi un rischio ben preciso: quello di fare la fame. E’ il rischio più vecchio del mondo ma è proprio quello che non ti aspetti nel XXI secolo, in un paese europeo. Eppure la coincidenza tra l’indice di povertà infantile e la disoccupazione, soprattutto delle madri, è stata più e più volte fotografata dall’Atlante dell’infanzia a rischio di Save the Children. La realtà non lascia ombra di dubbio: se fai figli sei più povero, ci stai?

C’è chi dice sì e allora – soprattutto se donna – corre il rischio di essere: licenziata perché incinta, non assunta perché incinta, ridimensionata nelle proprie mansioni perché incinta.
E subito dopo: messa in condizioni di non poter conciliare lavoro e famiglia, sola senza sostegni, sola senza nidi comunali, sola senza nonni e dunque (va da sé) sola e senza lavoro.

C’è poi chi dice no, sono le centinaia di persone fotografate dall’Istat, che decidono di non avere figli ma non per giusta e libera scelta ma perché non hanno scelta.

La non-scelta è il fardello che le donne della mia generazione si portano addosso con tutta la rabbia del caso e racconta di colloqui lavorativi basati sulla maturità del proprio apparato riproduttivo, di contratti tarati sul tempo del nostro orologio biologico, di rinvii decisi dopo altri rinvii, perché adesso non è il caso, perché ora non è proprio il momento giusto. E il momento giusto, poi, non arriva mai.

Se ricostruiamo l’immagine della donna alla luce di quel che accade realmente, se la vediamo istruita e magari non più tanto giovane, al suo ennesimo lavoro o al suo ennesimo colloquio di lavoro, col contratto in scadenza proprio come il suo orologio biologico, ci rendiamo conto di quanta frustrazione accompagni la non-scelta delle donne. Perché la paura di diventare genitori è di tutti. Ma la scelta, se diventarlo o meno, dovrebbe essere solo nostra.

Quando si accetta di correre il rischio della maternità le cose non vanno meglio: al lavoro ci sentiamo in dovere di non essere assenti (come se accudire un neonato fosse tempo speso solo per noi), di tornare in pista subito dopo il parto come a dimostrare che possiamo fare tutto e subito, spianando così la strada a un modello di emancipazione fuorviante visto che la legge di maternità non è un privilegio ma un diritto.

E allora, a conti fatti, in Italia oggi siamo tutti un po’ coraggiosi: chi ha voluto rischiare, diventando genitori con i mille problemi del caso, e chi ha deciso di non farlo, perché questo rischio era davvero troppo alto.

In fondo, perché ci chiedete tanto? Non nasciamo per essere coraggiosi, ma per essere felici.

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