La Corte d'Appello di Milano conferma la sentenza a carico di Laura Taroni. Ancora a processo il medico Leonardo Cazzaniga, amante e presunto complice della donna. Lei si difende in Aula: "Non avrei mai potuto uccidere il padre dei miei figli"
Trent’anni di carcere per l’ex infermiera killer di Varese. La prima sezione della Corte d’Assise d’Appello di Milano ha confermato in secondo grado la condanna a 30 anni per Laura Taroni, processata con rito abbreviato dal tribunale di Busto Arsizio, con l’accusa di aver ucciso il marito e la madre attraverso la somministrazione di dosi eccessive di farmaci, quando lavorava nell’ospedale di Saronno, in concorso con il medico Leonardo Cazzaniga, con cui aveva una relazione. La pg di Milano, Annunziata Ciaravolo aveva chiesto lo scorso 26 giugno la conferma della condanna di primo grado, dopo che Taroni aveva fatto ricorso in secondo grado. La pg milanese aveva ricordato la “malafede” con la quale l’infermiera partecipò alla messa a punto del cosiddetto “protocollo Cazzaniga“, ideato dal viceprimario del pronto soccorso saronnese, tuttora a processo in primo grado a Busto Arsizio (ha scelto il rito ordinario).
Nel corso di dichiarazioni spontanee, in udienza, Taroni ha dichiarato: “Non ho mai avuto intenzione di uccidere nessuno e non l’ho mai fatto, tantomeno mio marito che è il padre dei miei figli“. Secondo l’accusa, dopo aver eliminato il marito, Taroni e l’amante avrebbero voluto coronare la loro relazione, ma ritenevano la madre di lei un ostacolo e avevano quindi deciso di ‘eliminarla‘. Il medico Cazzaniga è sottoposto a processo a Busto Arsizio per altri 12 decessi in corsia e per la morte del suocero della donna. In quest’ultimo caso la Taroni era stata invece assolta in primo grado.
La Corte ha confermato le condanne (fino a 1 anno e 4 mesi di carcere) anche per due medici e per due dirigenti dell’ospedale, accusati a vario titolo di favoreggiamento, omessa denuncia e falso ideologico. Fabrizio Frattini, inizialmente condannato ad un anno e quattro mesi, è stato invece assolto (per uno dei due capi di imputazione) perché il fatto non costituisce reato. “Non possiamo provare soddisfazione di fronte a una famiglia che è stata devastata”, ha detto l’avvocato Luisa Scarrone, che assiste la famiglia di Massimo Guerra che si è costituita parte civile. “Ringraziamo però la Procura generale – ha aggiunto l’avvocato – perché ha fatto di tutto per restituire l’immagine di Guerra come quella di una vittima, e non più di un persecutore“.