La decisione è arrivata dopo il pressing dell'Associazione nazionale magistrati e dalla corrente Unicost (di cui il pg dimissionario fa parte), che nei giorni scorsi hanno chiesto un suo passo indietro dopo il coinvolgimento nella vicenda dei magistrati indagati per le cene negli hotel romani con l'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti
Collocazione a riposo anticipato. È quanto comunicato dal procuratore generale della Corte di Cassazione Riccardo Fuzio al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che lo ha ricevuto in mattinata al Quirinale. Fuzio lascerà la magistratura il prossimo 20 novembre. Una data che tiene conto dalla richiesta del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura David Ermini e del primo presidente della Corte di Cassazione Giovanni Mammone, i quali – dopo aver ringraziato Fuzio per “l’alto senso di responsabilità istituzionale che ha ispirato la sua decisione” – hanno auspicato che la data di collocamento a riposo tenga conto dei tempi per espletare la procedura di nomina del nuovo Procuratore generale, al fine di evitare che si determini discontinuità nella funzione di titolare dell’azione disciplinare obbligatoria. Come si legge in una nota del Quirinale, Mattarella “ha preso atto della decisione di presentare domanda di collocamento a riposo anticipato, decisione assunta con senso di responsabilità a conclusione di un brillante percorso professionale al servizio delle isitituzioni“. Mattarella gli ha “espresso apprezzamento per il rigore istituzionale con cui ha assicurato il tempestivo esercizio dell’azione disciplinare in una contingenza particolarmente delicata per la magistratura”.
La decisione di Riccardo Fuzio, del resto, è arrivata dopo il pressing dell’Associazione nazionale magistrati e dalla corrente Unicost (di cui il pg dimissionario fa parte), che nei giorni scorsi hanno chiesto un suo passo indietro dopo il coinvolgimento nella vicenda dei magistrati indagati per le cene negli hotel romani con l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti. A questi incontri ha partecipato anche Cosimo Ferri, deputato del Pd ma ancora magistrato in aspettativa, motivo per cui lo stesso Riccardo Fuzio ha promosso un’azione disciplinare. Personaggio centrale della vicenda è il pm di Roma Luca Palamara, sul cui telefono cellulare era stato installato un trojan che ha registrato le conversazioni dell’ex presidente Anm. Tra queste anche quelle con Fuzio, che ha avvisato Palamara dell’inchiesta per corruzione che i magistrati di Perugia hanno aperto sul suo conto. Nella fattispecie, Fuzio ha raccontato quello che c’era nelle carte, ovvero le spese sostenute da Fabrizio Centofanti per i viaggi e altri benefit di cui ha goduto Palamara.
Rimanendo in tema, l’8 luglio prossimo il Csm si pronuncerà sulle istanze di ricusazione presentate da Palamara nei confronti di due dei suoi giudici disciplinari. Il vice presidente del Csm David Ermini ha infatti costituito il collegio che se ne dovrà occupare, evitando che ci siano rinvii nel giudizio sulla sospensione dalle funzioni e dallo stipendio di Palamara chiesta dal pg Fuzio. L’udienza è già fissata per il giorno successivo, il 9 luglio. Nell’udienza sulla ricusazione Piercamillo Davigo sarà sostituito da Loredana Micciché (il secondo giudice di legittimità), mentre il pm Sebastiano Ardita (visto che è stata accolta la nuova richiesta di astensione di Giuseppe Cascini) da Alessandra Dal Moro, che è un giudice. In particolare, è stata disposta la sostituzione di un componente appartenente alla categoria dei pm (Ardita) con un componente appartenente alla categoria dei giudici di merito, quindi sempre un togato, in assenza di altri pm (dopo le dimissioni di Spina e Lepre e la reiterata astensione di Cascini), attraverso una interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 6, quinto comma, della legge istitutiva del Csm, nel senso di preservare il funzionamento della sezione disciplinare e il continuativo svolgimento dell’attività giurisdizionale, dato che bloccare tale attività violerebbe il principio di indefettibilità e di continuità del potere disciplinare sancito dalla Costituzione e dalla Corte costituzionale (sentenza n. 262/ 2003).