“Gran bel fisico ma zero cervello, adesso capisco meglio la mazzata quando si è candidata evidentemente gli elettori del Nord Est la conoscevano bene”. Di chi stiamo parlando? “Cessa, stai zitta”. Chi si ritrova in queste affermazioni? “Il suo cervello è rimasto dall’estetista e parrucchiera…Non pretendere che le idioti ragionino. Povere depresse”. Sono solo alcune delle frasi pubblicate in rete (rispetto a determinati eventi o fatti pubblici o di ambito politico) diventate campione. Campione di affermazioni e considerazioni diffuse in rete durante una normale campagna elettorale in Italia. Ed è solo una parte del materiale raccolto e tradotto anche in cifre da Amnesty International Italia che insieme al Consiglio Nazionale Forense ha realizzato il report “Barometro dell’odio, Elezioni europee 2019”.
LE CIFRE DELLA RILEVAZIONE
Niente di nuovo sotto il sole? Non proprio. Una rilevazione durata 23 giorni durante i quali sono stati monitorati 1.419 candidati e raccolte 787 tra dichiarazioni e commenti offensivi, razzisti, discriminatori provenienti da 129 candidati unici, di cui 77 risultati poi eletti.
Di questi 787 commenti e dichiarazioni, il 91 per cento ha avuto come oggetto migranti e immigrati (inclusi i temi della sicurezza e dell’accoglienza), mentre l’11% delle dichiarazioni ha riguardato minoranze religiose (soprattutto quella islamica), il 6% la comunità Lgbt, il 4,8% i rom e l’1,8% le donne; sul piano lessicale è stato confermato – per migranti e immigrati – l’utilizzo di metafore militari e sulla guerra (“bomba sociale”, “scontro sociale”, “guerra in casa”), di analogie disumanizzanti (“bestie”, “vermi”) e di una terminologia imprecisa e generica (“clandestini”, “irregolari”, “profughi”, “stranieri”).
L’antefatto è stato il primo Barometro dell’odio del 2018 dove era stato individuato un focus specifico: la produzione di discorsi d’odio da parte di soggetti precisi, come i candidati alle elezioni politiche e loro follower.
I PRINCIPALI FILONI DELL’ANALISI
I tre temi principali sui quali i politici si esprimono in modo più problematico sono immigrazione (1 post su 5 è offensivo e/o discriminatorio), minoranze religiose e rom (in entrambi i casi 2 post su 5 sono offensivi e/o discriminatori o hate speech). I politici raramente superano i limiti con post problematici, ma riescono a toccare le corde giuste per creare un certo tipo di reazione negli utenti. Le categorie sociali più spesso prese di mira da politici e utenti, infatti, riflettono una tendenza molto simile con migranti, rifugiati e persone con background migratorio tra i gruppi più soggetti a discriminazione, seguiti da singoli individui o gruppi impegnati in attività solidaristica o di tipo umanitario, poi da musulmani, donne e rom.
“Durante l’analisi dei dati raccolti, la parola con la più alta frequenza è risultata essere ‘Salvini’ ”, spiega Federico Faloppa, professore presso l’Università di Reading e consulente Amnesty International Italia sul progetto. “Il linguaggio di tutti coloro che erano coinvolti in questa campagna elettorale era volto a sostenere, discutere o contrastare quello che diceva il ministro dell’Interno. Questo ha fatto sì che sia stato lui a dettare l’agenda su temi come, appunto, l’immigrazione. ‘Nostro’ è stato invece l’aggettivo più frequente. Nostri porti, confini, donne, comunità. Quello che sorprende però, è che anche chi doveva fare contro-narrazione usava lo stesso linguaggio sovranista”.
ARGOMENTO DONNE: SI SCATENA L’INFERNO
Quando si parla di donne nel web, solo nello 0,8% dei casi o contenuti di post, Tweet e commenti sono inclusivi rispetto a chi partecipa alla discussione, in media suscita solo 47,5 like, 7,8 commenti e 30 condivisioni per post/tweet di politici che intervengono sul tema “donne”. In compenso il genere femminile riesce a scatenare tanto odio tra gli utenti: è il terzo dopo immigrazione e minoranze religiose, per incidenza di casi di hate speech tra i commenti, con il 4,5%. La classifica resta la stessa riguardo al bacino di commenti offensivi e oppure discriminatori: “donne” si colloca di nuovo al terzo posto, dopo immigrazione e minoranze religiose, col 36,9%. Oltre un terzo dei commenti online che tratta il tema è problematico.
Ma nella ricerca si trova anche altro: come il dato interessante relativo agli attacchi personali subiti dai politici: 4 dei 5 esponenti con la maggiore incidenza di attacchi personali sono donne. Si tratta di Pina Picierno, Simona Bonafè, Corradino Mineo, Cécile Kyenge, Daniela Santanchè. I candidati e leader uomini hanno registrato un’incidenza media di attacchi personali pari all’1,2%, mentre nel caso delle colleghe donne sale al 2,5%. Oltre 1 su 4 consiste in un insulto di tipo sessista.
Alla luce di quanto rilevato nell’ambito di questo monitoraggio, l’odio nei confronti delle donne sembra seguire un percorso proprio rispetto alle altre tematiche e agli altri target: ad alimentarlo non servono casi di cronaca polarizzanti, né le parole offensive e/o discriminatorie o le provocazioni dei politici. È un’intolleranza di tipo latente, costante, frutto di un retaggio culturale antico.
LA MAPPA DELL’INTOLLERANZA
La co-fondatrice di VOX Diritti, Silvia Brena, ha presentato anche i dati raccolti all’interno dalla Mappa dell’Intolleranza. “Quando, quattro anni fa, abbiamo iniziato a lavorare al progetto Mappa dell’Intolleranza, l’Italia cui ci trovammo di fronte era profondamente diversa dall’attuale. Gli odiatori via social esistevano, certo, ma erano nascosti, protetti e fortificati dall’anonimato che la Rete garantiva loro. Si accanivano soprattutto contro le donne e contro le persone omosessuali”, ha dichiarato. “Oggi la fotografia che emerge dalla Mappa 4.0 racconta di un’Italia furiosa e rabbiosa, che si accanisce soprattutto contro migranti, ebrei, musulmani. E ancora contro le donne. Una schiera di haters, stavolta tronfi e orgogliosi del proprio odiare, cui una certa politica ha inoculato il veleno della intolleranza”.
COSA FARE?
Di certo non nascondere la polvere sotto il tappeto. Il rapporto parla dell’azione attiva della contro-narrazione oltre a un aspetto prioritario: la condivisione in ambiti diversi di un modo diverso di fare e agire nell’ambito della comunicazione in rete. Un lavoro iniziato nel 2018 e giunto fino a oggi che ha prodotto anche Tavolo per il contrasto ai discorsi d’odio: non una semplice realtà di generico coordinamento antirazzista o antidiscriminazione ma costruire un gruppo di lavoro nazionale che per la prima volta potesse far operare insieme centri di ricerca accademici (Università di Bologna, Università di Firenze, Università di Milano, Università di Reading, Università di Trento e di Verona), osservatori accreditati come Associazione Carta di Roma, Osservatorio di Pavia, Unar, Fondazione Bruno Kessler, progettualità innovative (Associazione “Vox Diritti”), associazioni giuridiche (ASGI, Consiglio Nazionale Forense, Rete Lenford), movimenti nazionali e trasnazionali (No Hate Speech Movement), organizzazioni non governative con grande esperienza di intervento sul territorio (Action Aid, Cospe, Lunaria) insomma, ricercatori che da anni sono impegnati nello studio e nel contrasto dei discorsi d’odio.
Nessuna pretesa di argomentare in modo completo con un semplice post. Interessante, tuttavia, riportare le parole di Gianni Rufini direttore generale di Amnesty International: “A partire dal 2016 abbiamo deciso di lavorare sul problema dell’odio. Nel vortiginoso degrado del dibattito pubblico italiano, con un numero crescente di cittadini che, sui social media, danno sfogo a un’aggressività esasperata e razionalmente inspiegabile, con l’impossibilità di avviare un dialogo con le tante persone che fanno proprie e diffondono notizie platealmente false, abbiamo scelto di lavorare sull’ingrediente che genera paura e violenza verbale, anche nelle persone più miti e apparentemente ragionevoli”. L’odio trasforma i fatti in menzogne, le opinioni in veleno, le persone in mostri da annientare, la solidarietà in crimine, l’umanità in un male da sconfiggere. Avanti tutta.