Il governo libico del premier Fayez al-Sarraj “dopo il massacro a Tajoura (che ha provocato la morte di almeno 53 persone, tra cui 6 bambini, e il ferimento di altre 130, ndr) sta considerando il rilascio di tutti i migranti nei centri di detenzione, perché la loro sicurezza non può essere garantita”. Lo ha detto il ministro dell’Interno, Fathi Bashagha, come riferisce The Libya Observer. “Il governo di accordo nazionale al momento sta considerando la chiusura dei centri e il rilascio dei migranti illegali per tutelare le loro vite e la loro sicurezza”, si legge anche in un post sulla pagina Facebook del ministero libico che riferisce di un incontro avuto dal ministro dell’Interno con il coordinatore umanitario dell’Onu in Libia, Maria Ribeiro. Bashagha “ha confermato che il Governo di accordo nazionale è tenuto a proteggere tutti i civili, ma il fatto che vengano presi di mira i centri di accoglienza da aerei F16 e la mancanza di una protezione aerea per i migranti clandestini” nei centri stessi, sono tutte cose “al di fuori della capacità del governo”, continua il post.
Un provvedimento del genere, secondo le stime dell’Oim, potrebbe portare alla liberazione di circa 6-7mila persone, di cui 3mila solo nell’area di Tripoli, costrette in 23 centri cosiddetti ufficiali sparsi per il Paese.
L’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (Ocha), ha però riferito che parte della carneficina seguita al bombardamento dei militari di Khalifa Haftar sul centro di detenzione di Tajoura potrebbe essere colpa delle milizie che gestiscono il centro. Secondo alcune testimonianze raccolte, dopo l’esplosione della prima bomba le persone hanno tentato di fuggire, ma le guardie, che per la gestione delle prigioni ricevono soldi dal governo di Tripoli, hanno sparato contro di loro.
Intanto, fonti interne citate dai media internazionali riportano che gli Stati Uniti, dopo aver condannato l’attacco come “aberrante”, hanno bloccato in sede di Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite una dichiarazione proposta dalla Gran Bretagna in cui si condannava l’attacco e si chiedeva un immediato cessate il fuoco.
Andrea De Bonis, funzionario protezione dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha dichiarato all’Ansa che “come Unhcr auspichiamo da tempo il rilascio dalla detenzione dei migranti nei centri in Libia. A queste misure va affiancata una presa di responsabilità dei Paesi europei, affinché supportino dei piani di evacuazione dei rifugiati che si trovano in Libia. L’Italia sta facendo la sua parte, avendo evacuato circa 700 rifugiati dal dicembre 2017″. “Nonostante la nostra presenza in Libia – ha poi aggiunto – il Paese non è un porto sicuro e c’è una situazione critica di sovraffollamento dei centri di detenzione dei rifugiati. Auspichiamo che possano essere evacuati il prima possibile”.
Giovedì pomeriggio, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, incontrerà il presidente russo, Vladimir Putin, in visita in Italia. Al centro dei colloqui potrebbe esserci proprio il bombardamento delle forze militari dell’uomo forte della Cirenaica, sostenuto da Mosca e da altri attori regionali come l’Egitto. L’obiettivo è quello di riportare tensione e sicurezza nel Paese a livelli che evitino ulteriori perdite civili e permettano l’avvio di nuovi colloqui di pace tra le fazioni in campo. Anche perché la chiusura di tutti i centri gestiti dal governo Sarraj potrebbe provocare un nuovo aumento dei flussi migratori verso l’Italia sulla rotta del Mediterraneo.
Sicuramente di Libia si è parlato nel faccia a faccia tra Putin e il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Come fanno sapere fonti del Quirinale, è stata registrata una “preoccupazione comune per la guerra civile in Libia e il conseguente ritorno del terrorismo islamico battuto in Siria“. È stata anche evidenziata l’importanza della stabilità libica per l’Italia e per l’Europa. Da parte russa si è però sottolineata la diversa posizione dei Paesi vicini sulla soluzione politica.
La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, nel corso del briefing con la stampa ha voluto precisare che “nonostante gli appelli della comunità internazionale in Libia, le parti avversarie non stanno dimostrando la disponibilità a fermare lo scontro militare e a sedersi al tavolo dei negoziati. Crediamo che in questa situazione la priorità sia fermare lo spargimento di sangue che potrebbe portare a una guerra civile di larga scala“.
La portavoce ha poi detto che il Cremlino ribadisce la propria “posizione a favore della soluzione pacifica della crisi libica. Sfortunatamente, la faida e il vuoto di potere in Libia stanno creando un ambiente favorevole per l’attività di vari gruppi terroristici, dato che le loro attività criminali sono diventate più frequenti. Queste attività possono essere sconfitte solo con sforzi coordinati di tutte le forze patriottiche nazionali, sia nella parte occidentale che in quella orientale del Paese. Chiediamo alle forze politico-militari della Libia d’iniziare il dialogo e prendere misure per ripristinare un processo politico inclusivo con lo scopo finale di superare la divisione del Paese e formare istituzioni statali efficaci e uniformi“, ha concluso ribadendo che la posizione di Mosca è quella di raggiungere il prima possibile un cessate il fuoco.