Un sestetto di inquietanti ragazzini prodigio, un professore ossessionato dal loro freddo distacco terreno, l’apocalisse ambientale dietro l’angolo di casa. Benvenuti a L’ultima ora, un thriller psicologico/ecologico dove echi di Lynch si mescolano al Villaggio dei dannati e allo sguardo colpevolizzante di Greta Thunberg. Di spaccati scolastici critici ne abbiamo visti e registrati parecchi nel cinema recente. Di solito ci toccano gli alunni problematici e ignoranti da salvare. Nel film di Sebastien Marnier, invece, ecco l’improvvisa tragedia all’interno di una classe di “RIP”, ragazzi intellettualmente precoci. Il professore di letteratura al minuto uno (non è spoiler, ci spiace) apre la finestra dell’aula dove i rip stanno studiando: compie due passi, si getta dal balcone e finisce in coma. A sostituirlo arriva il giovane e fascinoso Pierre (Laurent Lafitte).
Una tesi su Kafka da concludere, spavaldo, aitante, il neo prof prende con sufficienza il nuovo lavoro, ma subito i ragazzetti (soprattutto due ragazze e quattro ragazzi, ancor di più i due rappresentanti di classe Apolline e Dimitri) gli fanno capire che forse è lui a non essere alla loro altezza. Niente di spocchioso, niente di intellettuale. Semplicemente Apolline&Co.sembrano avere una superiore perspicacia nell’intuire la distruzione del mondo perpetrata da parte dell’uomo negli ultimi decenni e perfettamente in corso (anthropocene, dice nulla?), come l’avvento imminente della prossima apocalisse ecologica a pochi metri dal liceo. Pierre non capisce subito chi ha davanti. Si perde tra un collegio docenti surreale e minaccioso, come sul pedinamento del sestetto. Operazione che gli fa e ci fa comprendere gradualmente come i sei superdotati si stiano preparando a subire il dolore e la morte menandosi tra di loro, gettandosi in piscina incellophanati per essere costretti a resistere più a lungo in acqua senza respirare, e raccogliendo memorie audiovisive sconcertanti con filmati di disastri ambientali e, previa citazione da Terra Bruciata di Ballard, intere sequenze di macelli e allevamenti intensivi di polli e maiali come mai si era visto in un film di finzione.
Ambientato a fine anno scolastico, in un’imprecisata zona meridionale della Francia, sotto una canicule recidiva e spietata, tanto che la prima inquadratura del film che poi ritorna ciclicamente è il sole alto nel cielo che pompa caldo ad libitum, L’ultima ora è un gioiellino di tenitura della suspense come di evocazione di un perenne avvento di qualcosa di sinistro e nefasto che aggancia lo spettatore al primo minuto di film e lo lascia lì a penzolare angosciato e curioso per un’ora e quaranta. Marnier tesse una doppia dimensione del racconto filtrandola dal punto di vista di Pierre: da un lato il professore registra le stranezze che gli accadono a casa (luci che si spengono, incursioni notturne e sinistre) e le relazioni surreali con alcuni colleghi (apoteosi del brivido inspiegabile la capocciata della collega che lo ama contro uno specchio); dall’altro Pierre segue più o meno di nascosto i sei ragazzi disvelando la trama apocalittica che deflagrerà minacciosa.
E in questo continuo doppio rimando possibile, realtà e incubo si confondono e si inspessiscono in una dimensione della visione che riecheggia il miglior Lynch. Del resto il sestetto da Villaggio dei Dannati condensa su di sé un appeal tra il perturbante e il politico che sbanca ogni possibile preveggenza spettatoriale. Apolline (Luana Bajrami), variante comunicativa del j’accuse alla Greta Thunberg o di una più mitologica Cassandra, incalza sì freddamente Pierre sulla mancanza di una coscienza ecologica nel presente, ma allo stesso tempo corre dritta verso un finale futuro di morte da puro cinema di fantascienza. Straordinaria la composizione di suoni e rumori a firma del duo electro-pop Zombie Zombie che riescono a creare un’atmosfera di naturale realismo sonoro tanto che in alcuni momenti ti guardi attorno per capire se quei suoni metallici e prolungati provengono realmente dal film o fanno parte della realtà acustica dello spettatore. Infine, L’ultima ora fa riecheggiare il ricordo della seconda parte di Les combattents (2014), anche se qui i dettagli kafkiani/lynchiani (che dire dell’apparizione degli scarafaggi?) sembrano schizzi astratti punk ben oltre ogni romanticheria presente nel film di Thomas Cailley.