Secondo una ricerca Ipsos, il 40% degli iscritti alla Cgil avrebbe scelto la Lega e il Movimento Cinque Stelle alle ultime elezioni politiche. È evidente che qualcosa si è rotto nel rapporto fra il centrosinistra e il Pd, da un lato, e i lavoratori e ceti deboli con i relativi sindacati di rappresentanza, dall’altra parte, in specie la Cgil.

La prima spiegazione che viene in mente è che dietro questa rottura c’è un fatto recente. Infatti, durante la sua segreteria, Matteo Renzi ha attaccato quotidianamente i sindacati tutti, ma soprattutto la Cgil, e i sindacati hanno risposto così, votando Lega e M5S. In realtà, non si può dare tutta la responsabilità a Renzi, poiché ci sono stati conflitti fra il centrosinistra e i sindacati che si sono incancreniti nel corso almeno degli ultimi due decenni; ma è indiscutibile che Renzi, appena insediatosi come Segretario del Pd, senza un motivo apparente ha cominciato ad attaccare un giorno sì e l’altro anche sia la Cgil che l’allora Segretaria generale, Susanna Camusso. Questo è un dato di fatto.

Nel periodo di Renzi, il conflitto fra Pd e sindacati è stato particolarmente forte e persistente, anche perché Renzi ha messo in discussione una serie di principi sui quali la sinistra aveva fondato la sua stessa esistenza per circa un secolo. Si può essere d’accordo o no con l’abolizione dell’articolo 18, ma è indubbio che aver posto la questione ha rappresentato un motivo di forte contrasto da parte del Pd renziano con la Cgil.

É evidente che per invertire questa rotta bisogna riprendere un dialogo, ma in modo intenso e serio con i lavoratori dipendenti e i loro rappresentanti, i sindacati. Del resto, la risposta dei sindacati è una reazione anche al loro indebolimento che sta coincidendo con una drammatica perdita del potere d’acquisto dei salari, di cui abbiamo già parlato dalle pagine di questo blog.

Al di là di Renzi, infatti, bisogna riconoscere che si tratta di una tendenza di lungo periodo che risale già ai tempi di Pier Luigi Bersani e della sua segreteria, se non anche di Walter Veltroni. La perdita di potere d’acquisto dei salari come quota del Pil risale almeno al protocollo d’intesa sulla politica dei redditi promosso da Carlo Azeglio Ciampi nel 1993, come ho avuto modo di illustrare altrove. In coincidenza con quel protocollo la quota dei salari sul Pil si è ridotta di oltre 10 punti percentuali, senza più riprendersi da allora, ciò che è dietro i bassi consumi interni e il rallentamento di lungo periodo della crescita nel paese.

Già ai tempi di Veltroni e di Prodi c’è stato un forte indebolimento del rapporto tra il Pd e il sindacato, compreso la Cgil. Qualcosa si è rotto proprio durante il secondo governo di Romano Prodi a causa della cosiddetta “strategia dei due tempi”: prima riduzione del deficit e del debito pubblico e poi “accordo sul welfare”, con una serie di misure a favore dei lavoratori e dei più deboli. Anche come immagine suonava male per i lavoratori: i lavoratori dopo il debito! Bisogna ammettere che la strategia dei due tempi rappresentò un evidente errore politico, non solo perché portò alla caduta del governo Prodi, ma anche perché creò una rottura con il sindacato e con i lavoratori che dura ancora oggi.

Durante il suo governo, Prodi riuscì a realizzare un avanzo di bilancio di oltre il 6% del Pil, una cosa che si era vista raramente prima nella storia d’Italia e che, sicuramente, portò ad una rottura con i lavoratori e con le classi più deboli perché alla fine fu pagata soprattutto da loro. In quegli anni, la destra ebbe gioco facile a dipingere il centrosinistra come un vampiro che succhia i soldi dai miseri stipendi dei lavoratori dipendenti. L’immagine del ministro delle Finanze, Vincenzo Visco, come Dracula è diventata famosa in quel periodo grazie alla propaganda del centrodestra, compresa la Lega Nord.

Col senno di poi, quella è stata una scelta sciagurata per il centrosinistra, che ancora produce i suoi effetti politici e sociali. Sarebbe stato opportuno, invece, attuare entrambi gli obiettivi: riduzione del debito, magari non solo attraverso un aumento delle tasse, ma anche riduzione forte degli sprechi e lotta all’evasione, con sostegno ai redditi più bassi come era stato, del resto, promesso anche durante la campagna elettorale trionfatrice di Prodi. Capisco lo zelo di dimostrare fedeltà agli obiettivi della moneta unica, ma in quel caso si è davvero esagerato, come lo stesso Visco ammise in seguito.

Va riconosciuto, però, che quello è stato l’unico periodo in cui il debito pubblico si è ridotto veramente. Ma chi ha pagato il costo di quella riduzione? Dobbiamo partire da questa domanda per capire perché si è rotto qualcosa tra lavoratori e sindacato, da una parte, e la rappresentanza politica del centrosinistra, dall’altra parte, e come hanno fatto la Lega Nord all’epoca e il M5S in seguito ad insinuarsi in questo rapporto.

La sinistra estrema sicuramente è stata inaffidabile e credo che il centrosinistra neo-ulivista di Nicola Zingaretti debba partire da qui, cioè dalla chiarezza sugli obiettivi di politica economica con tutti i partner di governo. Se Ulivo deve ancora essere, riparta su basi nuove e molto chiare, dove siano chiari i rapporti di forza e anche le responsabilità di ciascuno. Non si ammettano nella coalizione leader irresponsabili come quelli che fecero cadere i governi di Prodi. Occorrono accordi ben precisi su tutte le situazioni, anche quelle estreme che si venissero a verificare e sul fatto che il Presidente del Consiglio deve essere seguito, se non ci sono alternative di governo.

Però, detto questo, va anche riconosciuto che c’era tanto malcontento nel paese e l’errore della sinistra estrema è stato quello di sperare di portare quel malcontento a proprio vantaggio. In realtà, le accuse e le critiche a Prodi furono poi il volano per la successiva vittoria a slavina di Silvio Berlusconi alla successive elezioni politiche del 2008, perché, come al solito, la sinistra estrema, malata di protagonismo, non si rende conto che quando attacca il centrosinistra non è lei a trarne beneficio, ma la destra.

Insomma, c’era veramente poi una forte opposizione al governo Prodi nel paese e l’errore della sinistra estrema è stato quello di cercare di cavalcarla. Ma l’onda della destra già stava montando da sola, grazie alla propaganda della destra, di Berlusconi e della Lega. Una storia vista di nuovo durante i governi di Renzi e Paolo Gentiloni e le successive elezioni politiche del 2018.

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