Aveva detto di avere un video in cui si vedevano i “veri responsabili” della morte de las niñas de Alcàsser, le ragazze di Alcàsser, cittadina vicino a Valencia. Un video in cui si vedevano importanti esponenti della politica e della società spagnola che si accanivano sui corpi di Miriam, Toñi e Desirée. Il problema è che quel filmato Juan Ignacio Blanco, giornalista e criminologo, non l’ha mai tirato fuori. Nemmeno con gli autori de El caso Alcàsser, il docu-film in 5 puntate in onda dalla metà di giugno su Netflix, che racconta l’omicidio che nel 1992 sconvolse la Spagna. Non solo per l’angoscia crescente in tutto il Paese per il fatto che si persero le tracce delle tre ragazzine per oltre un mese, non solo per l’efferatezza del delitto, ma anche per il fatto che il caso diventò il primo processo mediatico nella storia televisiva del Paese con programmi tv che nella raccolsero record su record nello share fino a superare anche diversi limiti di etica e deontologia.
Al centro di questi show è sempre stato proprio Juan Ignacio Blanco, morto due giorni fa a 63 anni dopo una lunga malattia. Lui, insieme a Fernando Garcìa, padre di una delle ragazzine, Miriam, fu protagonista di moltissime puntate di programmi televisivi (anche non giornalistici, come il seguitissimo Esta noche cruzamos el Mississippi) in cui venivano sollevati dubbi su un’inchiesta che per certi versi aveva mostrato dei limiti di chiarezza. Insieme Blanco e Garcìa portarono avanti indagini parallele i cui risultati però non hanno mai scalfito la sentenza definitiva: a essere ritenuti responsabili dei tre omicidi infatti furono due sbandati della zona, Antonio Anglés (condannato in contumacia e mai ritrovato dopo una fuga in Portogallo e probabilmente al di là dell’Atlantico) e Miguel Ricart (che partecipò al processo, fu condannato ed è uscito dal carcere pochi anni fa).
Il caso diventò una storia da manuale per il cortocircuito tra processi e tv. Ed è in questo contesto che Blanco dichiarò di possedere un video snuff che ritraeva le torture e l’omicidio delle ragazze. La prova regina, cioè, di quello che sosteneva Blanco: cioè che gli assassini, Antonio Anglés e Miguel Ricart, fossero capri espiatori per coprire una verità ben più grande: l’esistenza di una rete occulta di pederasti, composta da importanti personalità della politica e della società spagnole del tempo. Una teoria mai sostenuta da fatti. Tuttavia Blanco ha ribadito l’esistenza del video anche agli autori di El caso Alcàsser, senza però mai mostrarlo a nessuno.
https://www.youtube.com/watch?time_continue=2&v=HW1eWC9dJ2w
Blanco fece del caso Alcàsser la sua grande ossessione: arrivò persino a lasciare il lavoro e a trasferirsi nella cittadina, a casa di Garcia, per investigare senza sosta sugli omicidi. Sulla vicenda pubblicò anche un libro, che includeva foto delle autopsie ottenute senza il consenso dei genitori delle ragazze. Dopo le denunce dei familiari, il volume venne sequestrato per ordine dei giudici. Da allora, fu processato e condannato per ingiuria e calunnie nei confronti degli inquirenti.
La nuova serie di Netflix ha riacceso l’interesse per il caso, sia nei mezzi di comunicazione che nell’opinione pubblica spagnola. La settimana scorsa una coppia di spettatori, dopo aver visto le cinque puntate della serie, ha deciso di avvicinarsi al luogo dove furono ritrovati i corpi delle tre ragazze e, dopo aver scavato, ha riportato alla luce alcuni frammenti di ossa. Dopo averle consegnate alla Guardia Civil, il 3 luglio le indagini hanno rivelato l’origine umana dei resti. Proprio quel giorno Juan Ignacio Blanco è morto.