Diritti

Minori stranieri, la Corte dei Conti: “Sprar costano meno dei centri straordinari. Meno sprechi se sistema fosse unico”

Secondo i giudici contabili "il divario è notevole": il progetto di accoglienza diffusa sul territorio, che fa capo al Viminale, costa tra i 54 e i 64 euro al giorno, mentre le strutture comunali, dai Centri di accoglienza straordinaria (Cas) alle comunità familiari, ne costano in media 80. Nel solo 2017 se fosse esistito un solo sistema, l'Italia avrebbe potuto risparmiare oltre 116,5 milioni di euro. Proprio la struttura caotica, aumenta le inefficienze. Sotto accusa soprattutto la lentezza delle Regioni nel concedere le autorizzazioni per i trasferimenti

L’ultima relazione della Corte dei Conti chiede al ministero dell’Interno di puntare sullo Sprar, il Sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati anche per quanto riguarda i bambini arrivati nel nostro Paese da soli. Quindi evitare la solita logica dell’emergenza che rende il sistema italiano una lotteria e invece puntare a un modello unico, organizzato, pianificato, governato. Che permetterebbe di avere meno sprechi economici.

La deliberazione dei magistrati contabili, che danno al governo sei mesi per rispondere, s’intitola “Il fondo per l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (2015-2017)” e si ferma al 2017, prima del decreto Sicurezza che ha spazzato via il vecchio Sprar per fare spazio al Siproimi, la sua nuova versione voluta dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. Il concetto di base dello “Sprar corretto” è ridurre i posti a disposizione e farne un percorso d’accoglienza “avanzato” (seconda accoglienza in gergo). Ma ci sono problemi strutturali che ci si porta appresso dal passato e sui quali il Decreto sicurezza non chiarisce, come hanno sottolineato ong come Intersos. Già all’inizio dell’anno una circolare del Ministero aveva affermato che per i minori stranieri non accompagnati dovessero restare le garanzie precedenti. Ma, con l’abolizione della protezione umanitaria – il titolo di soggiorno della durata di un anno soppresso dal giro di vite del ministero – i neomaggiorenni che l’avevano ottenuta in precedenza si sono trovati costretti a lasciare strutture per minori dove magari erano stati giusto il tempo di cominciare un corso di italiano, senza più un posto dove andare.

Questo tassello aggrava il quadro già non esaltante dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati. “Esiste un divario notevole tra i costi sostenuti dai centri Sprar, gestiti dal Ministero dell’Interno, e le strutture facenti capo ai Comuni”, scrive la Corte dei Conti per il periodo 2015-2017. Tradotto in cifre, secondo l’analisi sul triennio, lo Sprar costa tra i 54 e i 64 euro al giorno, mentre le strutture comunali, dai Centri di accoglienza straordinaria (Cas) alle comunità familiari, ne costano in media 80.

Il motivo di questa disparità è il peccato originale che affligge tutta l’accoglienza: la “situazione emergenziale”. Questo approccio così caotico implica un’organizzazione del Ministero dell’Interno, preposto ad occuparsene, che secondo i magistrati contabili è inefficiente. Dal 2015 se ne occupa la Struttura di missione del Viminale, “resa necessaria”, come si legge sul sito del Ministero, “dall’impennata degli arrivi via mare registrati a partire dall’estate 2014”. Per la Corte dei Conti è tempo di superarla: “Sarebbe opportuno che le funzioni, attualmente disimpegnate dalla struttura di missione, rientrino nell’ambito delle ordinarie competenze del dipartimento [ministeriale Libertà Civili e Immigrazione] che dovrebbe svolgerle in via ordinaria”. Il sistema così confuso non aiuta per altro nemmeno i controlli: la deliberazione cita diversi esempi, in particolare a Gravina di Puglia e Firenze, dove in un caso non erano stato effettuate le verifiche sull’effettiva età degli ospiti, inserendo tra i minori anche chi non lo era (con un costo in più per lo Stato) e dall’altra c’erano strutture in cui in due anni nessun funzionario pubblico aveva mai fatto delle verifiche contabili.

Le disparità costano – Un unico sistema di gestione, diviso in prima e seconda accoglienza, permetterebbe meno sprechi. Mentre il Servizio centrale dello Sprar dà sempre un unico contributo (54 euro aumentabile al massimo del 20%), nelle strutture comunali si può pagare fino a 140 euro al giorno, come in Veneto, oppure 76, come in Sicilia. Tra i possibili motivi di questa discrepanza c’è il fatto che in Sicilia si concentrano circa un terzo dei minori stranieri non accompagnati in Italia ed è quindi possibile fare “economia di scala”, abbassando un po’ le tariffe. Calcola la Corte dei Conti, che nel solo 2017 se fosse esistito un solo sistema, l’Italia avrebbe potuto risparmiare oltre 116,5 milioni di euro: tanto hanno speso i Comuni per finanziare l’accoglienza di 12.281 minori (su 18.303, gli altri erano in strutture “ordinarie”). Questi soldi, per altro, li anticipano le amministrazioni locali, con la speranza poi di farsi rimborsare in seguito, spesso anni dopo. “Sarebbe auspicabile – prosegue la Corte – che l’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) svolga una opportuna attività di sensibilizzazione dei comuni italiani per consentire a questi ultimi l’adesione generalizzata al sistema Sprar che oggi certamente offre analoghi servizi a costi più contenuti rispetto a quelli che sostengono, in autonomia, gli stessi enti locali”.

Un fondo sottofinanziato – Il Fondo per l’accoglienza dei Minori stranieri non accompagnati, di cui si occupa la Corte dei Conti, è la cassa ministeriale che serve proprio a finanziare le strutture comunali. Riconosce un contributo di 45 euro, che è già di per sé è molto minore rispetto all’effettiva spesa. Negli ultimi tre anni, il Fondo per l’accoglienza dei Minori stranieri non accompagnati è stato finanziato con 90, 112 e 113 milioni di euro, cui si aggiungono le erogazioni europee a carico del fondo Fami, pari a 8,4 milioni di euro per il 2016 e 1,9 milioni di euro per il 2017. Cifre troppo basse rispetto alle effettive esigenze: se tutto il sistema di accoglienza fosse solo Sprar, calcola la Corte dei Conti, nel 2017 il Fondo avrebbe dovuto essere di almeno 242 milioni di euro. Sapere che il fondo è finanziato a sufficienza, aggiunge la Corte, sarebbe un ulteriore incentivo per i Comuni ad aderire al sistema Sprar e aumentare la pianificazione.

Il percorso dei minori – Un minore solo in Italia nel momento in cui sbarca viene accolto in un struttura di prima accoglienza, che il più delle volte è un Cas. Poi, teoricamente nel giro di 30 giorni, dovrebbe essere portato in una struttura di seconda accoglienza, che rispetto alla prima gli permetterà di cominciare un vero percorso di integrazione. Per legge, questa struttura dovrebbe essere uno Sprar oppure una “struttura Fami”, ovvero finanziata con il Fondo asilo migrazione e integrazione, in parte costituito da fondi europei (ne esistono anche di prima accoglienza). Già il passaggio dalla prima alla seconda accoglienza è in realtà complicato e molto più lungo dei 30 giorni auspicabili (almeno il doppio). Secondo la Corte dei Conti il problema principale è “l’inerzia delle Regioni nel concedere le autorizzazioni” per il trasferimento. Il costo poi può salire se non c’è posto nello Sprar e un minore deve trovare accoglienza in diverse strutture accreditate, di cui quelle che hanno un costo più elevato – del tutto legittimo visti i servizi erogati – sono le comunità. Già nel 2014 il Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza) lamentava quanto fosse basso il riconoscimento economico (dato per altro solo sulla base delle presenze e non sugli effettivi servizi) rispetto ai costi effettivi.

I minori irreperibili – Secondo i dati raccolti dal Ministero, tra 2015, 2016 e 2017 i minori soli arrivati in Italia sono stati rispettivamente 11.921, 17.373 e 18.303. A spanne, circa un terzo delle presenze si concentrano in Sicilia, il resto è suddiviso tra Sud e Nord con il Centro sostanzialmente non pervenuto. Questo maggiore concentramento in Sicilia può essere tra le cause dell’alto numero di minori che scappa dalle strutture d’accoglienza, diventando irreperibile. La Corte dei Conti cita il dato di 18.524 minori in tre anni, soprattutto somali ed eritrei (entrambi circa il 16% del totale) ed egiziani (oltre l’11% del totale). Le tre nazionalità non sono proporzionali al numero di arrivi, visto che – dati 2018 – i Paesi di provenienza maggiori sono stati Albania (1.550), Egitto (930), Gambia (892) e Guinea (802). Il problema non è solo italiano anche se l’Italia nel 2017 è stata il Paese con il più alto numero di richieste d’asilo. La portata del fenomeno in Europa è molto dibattuta: l’unica cifra che circola è una stima di Europol che parla di 10mila minori scomparsi nel 2017, che però non fornisce ulteriori spiegazioni.