La revoca di Marcello De Vito da presidente dell’Assemblea Capitolina? “Se poco poco torna, quello ce leva pure le mutande“. La frase in romanesco, pronunciata da un consigliere del M5s che chiede di restare anonimo, rende l’idea del clima di terrore che si respira in Campidoglio. E che ha portato, dopo oltre 3 mesi, alle dimissioni di Enrico Stefàno da vice presidente vicario dell’Aula Giulio Cesare. Una riflessione condivisa da un nutrito gruppo di pentastellati eletti in Campidoglio, tutt’altro che intenzionati a firmare la richiesta di revoca per De Vito per la quale servono almeno 24 adesioni. Così il tema è ridiventato caldo nella già rovente estate capitolina, fra crisi dei rifiuti e difficoltà nel trasporto pubblico. De Vito è stato arrestato per corruzione la mattina del 20 marzo scorso nell’ambito di un filone d’inchiesta legato alla vicenda dello stadio dell’As Roma. Nella stessa giornata erano arrivati nell’ordine il comunicato di espulsione dal Movimento a firma del capo politico Luigi Di Maio e, soprattutto, il provvedimento dell’allora prefetto di Roma, Paola Basilone, che lo ha sospeso dal Consiglio comunale per 18 mesi, in applicazione alla Legge Severino, con tanto di surroga votata alcuni giorni dopo in Assemblea Capitolina. Ma la sospensione non è una revoca. Per decadere, sarebbero servite le dimissioni del diretto interessato. Anche perché De Vito è sì in galera dalla fine di marzo, ma qualora venisse scarcerato (permanendo il solo status di indagato) avrebbe diritto non solo a riprendersi il suo posto in Aula Giulio Cesare, ma addirittura a ritornare a presiedere l’assemblea.
IL PARERE DEL SEGRETARIATO – Lui di dimettersi non ci pensa proprio. Lo ha fatto sapere quasi subito attraverso i suoi avvocati e lo ribadito in una lettera del 24 aprile, indirizzata alla sindaca Virginia Raggi, dove addirittura contestava la legittimità della sua espulsione dal M5s. E il presidente d’Aula, trattandosi di un ruolo di garanzia, non può essere sfiduciato. Servirebbe una revoca che, come detto, i consiglieri di maggioranza non vogliono votare. Questo perché temono una possibile rivalsa da parte dell’interessato, con coinvolgimento della Corte dei Conti. A frenare gli eletti il parere del Segretariato Generale del Campidoglio del 7 aprile 2019, secondo cui l’istituto della revoca “è ammessa nel solo caso di gravi violazioni della legge, dello statuto e del regolamento”. Violazioni che però sarebbero da intendersi in relazione al “mancato o non corretto esercizio delle funzioni presidenziali”. In questo caso, secondo il Segretariato capitolino “i comportamenti ritenuti penalmente illeciti non sembrano rivelare un collegamento diretto e immediato con l’inosservanza dei compiti inerenti agli obblighi del ruolo“. Il tema, insomma, è interpretativo. E poi economico. Perché, come folkloristicamente ammesso dall’anonimo consigliere pentastellato, la paura è che De Vito, se scarcerato e vedendosi revocato, possa fare ricorso al Tar, vincerlo, e poi rivalersi sui colleghi, chiedendo loro possibili risarcimenti dei danni subiti in termini di stipendio d’immagine. “Ma siamo il M5s, non possiamo fare queste figure barbine. Di Maio lo ha cacciato dopo 3 minuti”, dice un altro consigliere, favorevole alla revoca, ricordando anche che “siamo assicurati per gli atti che compiamo in buona fede nell’esercizio delle nostre funzioni. E questo sarebbe un atto politico“. Tenendo conto che, in un caso molto simile, il consiglio regionale del Lazio ha revocato l’incarico di vice presidente d’Aula a Adriano Palozzi, arrestato alcuni mesi prima sempre nell’ambito dell’inchiesta sullo stadio. Il consigliere di Forza Italia, tuttavia, ha già fatto ricorso al Tar – che si è dichiarato non competente – ed ora attende il pronunciamento del Consiglio di Stato.
IL GIALLO DELLE DIMISSIONI DI STEFÀNO – Ma cosa ha portato Enrico Stefàno alle dimissioni improvvise? In sintesi, il giovane consigliere pentastellato si sarebbe stancato di fare il lavoro del presidente dell’Assise – con tutte le assunzioni di responsabilità del caso – con gli emolumenti da consigliere comunale. Un eletto capitolino, se partecipa a tutte le commissioni e le sedute del Consiglio, arriva a guadagnare circa 1.300 euro netti al mese, contro gli oltre 3.500 euro destinati al presidente d’Aula. Diverso anche lo staff: da presidente della Commissione Mobilità, Stefàno aveva a disposizione un solo collaboratore, contro i 10 di cui ha diritto il capo dell’Aula. Il vero giallo è sul motivo scatenante. A detta di gran parte delle persone che lavorano con lui, prima del post pubblicato su Facebook la mattina di giovedì, non una parola era stata detta ai suoi collaboratori o ai colleghi del gruppo di maggioranza. Un comunicato che per qualche ora ha messo anche in difficoltà la sindaca Raggi, con i media locali e gli esponenti dell’opposizione che già prefiguravano spaccature e una crisi imminente. Niente di tutto questo, per ora. A meno che il dibattito sulla revoca a De Vito non degeneri, ovviamente.
COSA ACCADE ORA? – Il capogruppo Giuliano Pacetti ha pubblicato un post dove si parla dell’imminente nomina di un nuovo “vice presidente vicario” dell’Assemblea Capitolina. Solo per la prima seduta, dunque, il reggente sarà Francesco Figliomeni (Fdi), poi verrà probabilmente eletto il nuovo sostituto di De Vito – si parla dei ‘raggiani‘ Angelo Sturni e Marco Terranova – Il quale incapperà negli stessi problemi di Enrico Stefàno, ovvero la spada di Damocle del possibile ritorno del titolare effettivo della carica. Stefàno, da parte sua, non riavrà indietro la presidenza della Commissione mobilità. Prova a soffiare sul fuoco la Lega, con il capogruppo Maurizio Politi: “L’Aula non è più in condizione di svolgere il suo lavoro – dice il salviniano – La mancata responsabilità del M5s ha portato una situazione di stallo nei lavori. Prima l’irresponsabilità nel non procedere alla revoca di Marcello De Vito, ed oggi le dimissioni di Stefàno. Un altro esempio dell’inadeguatezza della squadra di Virginia Raggi, che sta portando la città al collasso”.