Quando arrivò a Bercy modificò radicalmente il modo di lavorare. Al ministero dell’economia francese puntualità ed efficienza divennero le due parole d’ordine. Non tutti apprezzarono e i nemici si moltiplicarono. Ma questo non le impedì di far carriera. Anzi. Da allora Christine Lagarde, appena indicata come futuro governatore della Banca centrale europea, ha collezionato un successo dopo l’altro: prima donna al ministero dell’economia con l’ex presidente Nicolas Sarkozy, prima donna nominata direttore generale del Fondo monetario internazionale ed infine, a 63 anni, prima donna a guidare la politica monetaria dell’Unione. In mezzo la “conversione” sull’austerità: nel 2013, infatti, il Fondo guidato da Lagarde ammise di aver sottovalutato i danni delle misure imposte ad Atene nel piano di salvataggio concesso insieme a Commissione Ue alla Bce.
In ogni caso, già nel 2018, la rivista statunitense Forbes l’aveva indicata come la terza donna più influente del mondo, dopo la cancelliera Angela Merkel e l’ex premier britannico Theresa May. “Ha saputo imporre la calma senza porsi come una persona moralmente superiore – spiegò un funzionario del ministero dell’interno al giornale francese La Tribune dell’ottobre 2010 – Oggi è molto apprezzata perché porta un tocco di umanità”. Proprio lei che dal suo metro e ottanta d’altezza, con andatura altera e abbigliamento elegantemente austero, sembra guardare tutti dall’alto verso il basso. Forse anche perché essere donna di potere in un mondo di uomini non è affatto facile: “Si perdona meno un orlo disfatto ad una donna che un vestito un po’ stropicciato ad un uomo”, come ha più volte avuto modo di ribadire. Figurarsi poi, una donna che ha anche il coraggio di dichiarare pubblicamente una vita sessuale appagante anche “oltre i 50 anni”.
Di certo, nel suo percorso lineare, un tocco di “umanità” lo ha lasciato l’affare Tapie per il quale la Corte di giustizia della République l’ha ritenuta responsabile di “negligenza” nel 2016. La colpa? Per i giudici, da ministro, ha trattato con troppa “leggerezza” la gestione di un contenzioso costato oltre 440 milioni alle casse dello Stato francese. Una sentenza storica pronunciata nella sala dove nel 1793 Maria Antonietta venne giudicata per aver “dilapidato i beni della Francia”. Ma, si sa, errare humanum est. Così, già ai vertici dell’Fmi, madame Lagarde è risultata “colpevole, ma non condannata” come riferisce il giornale Le Monde del 22 dicembre 2016. Il simbolo di una “giustizia a due velocità” in un verdetto “politicamente criticabile” che in compenso non ha avuto alcun effetto sulla carriera di Madame Lagarde.
Sposata con l’imprenditore Xavier Giocanti, madre di due figli avuti dall’ex marito, l’analista Wilfrid Lagarde, il futuro governatore non è esattamente il prototipo del politico francese. E forse anche per questo è al tempo stesso temuta e apprezzata dal presidente Emmanuel Macron che non vorrebbe subirne la popolarità in Patria. Parigina per nascita, madame Lagarde è però fuori dai giri dell’Ecole nationale d’administration (Ena) attorno alla quale ruota buona parte della politica francese. Anche perché non è riuscita a superare l’esame di ammissione per ben due volte. Ma è senza dubbio un brillante avvocato d’affari che, dall’età di 17 anni, si è formato negli Stati Uniti e che ha saputo combinare il savoir faire francese alla praticità americana.
Prima figlia di quattro, unica donna, ha avuto un’infanzia segnata dalla morte del padre. La mamma, docente di lettere classiche, le ha insegnato con i fatti l’importanza dell’indipendenza che ha consentito alla famiglia di andare avanti nonostante il grave lutto. E la Lagarde è stata l’allieva perfetta: da scout ha subito mostrato doti di leadership diventando chef de sizaine, responsabile del team. “Non ho mai funzionato da sola, sia che con i miei fratelli che nella vita” ha confessato all’Agence France Presse dello scorso 2 luglio. Persino nel nuoto, dove si specializza nel sincronizzato, sport in cui la sintonia di squadra è tutto. “ Ho avuto fortuna perché sono cresciuta in un ambiente allo stesso tempo intransigente e tollerante, cristiano e impegnato, più a sinistra che altrove – ha raccontato al giornale francese La Tribune in un’intervista dell’ottobre 2010 –. Molto presto (…) sono andata a vivere negli Stati Uniti e mi son aperta al mondo. Questa dimensione mi ha trasformato in profondità. Quando ci si ritrova soli in una cultura, in una lingua e in una modalità di funzionamento che vi sono estranei, ci si rinforza”. E forse anche qualcosa in più perché la relazione fra Stati Uniti e Europa è diventata una costante nella vita della Lagarde e lo resterà per sempre.
Agli inizi della carriera, dopo l’Università a Paris Nanterre, la giovane Lagarde inizia uno stage nello staff del deputato americano William Cohen che in seguito diventerà segretario della Difesa durante la presidenza di Bill Clinton. Nel 1981, a Parigi, entra nello studio legale Baker & McKenzie per diventarne il numero uno diciotto anni dopo. La carriera politica inizia con Jacques Chirac e Jean-Pierre Raffarin. Così, agli inizi del 2000, l’avvocato d’affari si trasforma in economista con visioni sempre fuori dagli schemi. Sul caso Lehman si sente di puntualizzare che le cose sarebbero andate diversamente se ci fosse stato un team femminile a gestire la partita “perché le donne hanno un approccio al rischio diverso”. Sulla vicenda della crisi greca, da capo dell’Fmi, ammette che forse l’eccessiva politica di austerità è stata un errore. Ma lo fa dopo aver dichiarato apertamente che il debito pubblico era “sostenibile”, nonostante i dossier interni al Fmi parlavno di incertezze legate al salvataggio greco “così significative che lo staff era incapace di garantire che il debito pubblico fosse sostenibile con una probabilità alta”. Sull’ambiente sostiene l’odiata carbon tax è l’unica via d’uscita e sulla globalizzazione ritiene che Donald Trump abbia ragione quando chiede “un migliore rispetto delle regole del gioco e anche dell’ambiente e in funzione specifica dell’obiettivo di inclusione dei popoli” come spiega in un’intervista a Les Echos del novembre 2018.
Ma dal prossimo novembre il suo campo d’azione sarà l‘Europa in cui ha ancora fiducia; non ne teme l’implosione. Anche perché l’Italia “tiene molto alla zona euro”. C’è da scommettere che la sua sarà una politica accomodante, sempre nei limiti del mandato della Bce sull’inflazione, in continuità con il percorso già delineato da Mario Draghi. Una nuova avventura che inizierà consapevole del fatto che “la riuscita non è mai qualcosa di acquisito. È un combattimento perpetuo. Ogni mattina, bisogna portare il proprio contributo e ridare prova delle proprie capacità – si legge sul sito di La Tribune in un’intervista dell’ottobre 2010 -. Ciò che ha richiesto anni ad essere costruito, può affondare l’indomani. Sono profondamente convinta della necessità di andare avanti passo dopo passo, di rimettersi in questione tutti i giorni, essendo coscienti della fragilità del nostro percorso”. Ma anche della fragilità dell’economia mondiale e soprattutto di quella europea.