La manifestazione che nel 1983 raccoglieva milioni di persone per ascoltare Berlinguer ora si chiama Festareggio e non è più al Campovolo: nel 2018 ha fatto il record negativo di incasso. Il buco di bilancio si è ingigantito e per quest'anno non c'è ancora nulla di pronto. Il Partito democratico potrebbe rinunciare o ridimensionarla
Il 18 settembre 1983 due milioni di persone si radunavano al Campovolo di Reggio Emilia: a chiudere la Festa nazionale dell’Unità era arrivato il segretario del Partito comunista, Enrico Berlinguer. Nel 1997, su quel palco, si esibivano gli U2: ad assistere al concerto 147mila fan, record assoluto per una band fino ad allora. Due istantanee entrate nell’immaginario collettivo dei reggiani e legate all’evento simbolo della sinistra emiliana, diventato negli anni lo storico appuntamento di fine estate, ma che ora è un passo dallo scomparire.
Per mettere in piedi una macchina come quella di Festareggio, così si chiama ora la manifestazione, servono risorse importanti. Quelle del Partito democratico sembrano essere finite: la festa è in rosso di due milioni di euro, tutti debiti verso i fornitori accumulati in gran parte nelle ultime tre edizioni. Dopo il disastro dell’anno scorso, con lo spostamento obbligato alle Fiere che ha fatto scendere gli incassi al minimo storico, in ottobre si è dimesso Paolo Cervi, direttore dell’evento dal 2015 al 2018, ma da quel momento ancora nessuno ha preso il suo posto.
Di solito, in questo periodo, i dirigenti locali presentano il programma e annunciano gli appuntamenti principali. Quest’anno, invece, non c’è ancora nulla di pronto. E infatti, come conferma indirettamente anche il segretario provinciale Andrea Costa, il Pd non ha ancora deciso cosa fare: “Finora siamo stati tutti molto impegnati con le amministrative, ora sarà l’assemblea dei circoli che dovrà scegliere tra le varie ipotesi”. E tra le ipotesi c’è anche quella di rinunciare alla Festa, o comunque di vederla decisamente ridimensionata, proprio in un periodo complicato, tra le inchieste sul funzionamento dei Comuni (dagli appalti del capoluogo ai più delicati servizi di affido dei bambini) e la vigilia delle elezioni che per la prima volta vedono la destra in grado di contendere la Regione al Pd.
Difficile credere che in così poco tempo si possa organizzare una manifestazione che normalmente viene pianificata a partire da febbraio: mettersi al tavolo a poco più di un mese significa con ogni probabilità avere già escluso un grande evento. Una scelta che qualcuno, all’interno del Pd locale, aveva suggerito anche l’anno scorso, quando la Festa è stata costretta ad abbandonare la storica sede del Campovolo, occupato dal cantiere per la costruzione di una maxi arena per spettacoli. Alla fine invece si era deciso di continuare con il modello storico: tre settimane di eventi, decine di ristoranti, grandi ospiti e concerti ogni sera, in una location però molto meno affascinante e identitaria per i reggiani. Che evidentemente non hanno gradito: gli incassi, già dimezzati nel 2017, sono scesi ulteriormente a 800mila euro, il minimo storico.
I costi invece non sono diminuiti così tanto e questo ha ingigantito il buco di bilancio che da qualche centinaia di migliaia di euro è salito a due milioni. Uno dei motivi che ha spinto Cervi a passare la mano: “La partecipazione c’è sempre stata, i reggiani gradivano ancora la manifestazione”, dice l’ex direttore. “La sfortuna ha fatto la sua parte: nel 2017 siamo stati penalizzati dalla pioggia che ha costretto a rinviare gran parte degli appuntamenti in programma, mentre l’anno scorso abbiamo dovuto abbandonare lo storico Campovolo”. Cervi comunque ammette le sue responsabilità: “Negli ultimi due anni sono stati sicuramente fatti degli errori di previsione e anche io ho partecipato a scelte che hanno portato a questi risultati. I problemi però erano noti a tutti e la discussione era in atto da tempo, se ancora oggi non c’è una soluzione in campo è perché non è così banale cambiare il modello di festa”.
I conti iniziarono a scricchiolare già nel 2011: in quell’occasione, l’utile fu di poche decine di migliaia di euro, mentre nelle edizioni precedenti l’ordine era quello delle centinaia. L’anno successivo la Festa nazionale diventa un pessimo affare per i bilanci del Pd locale: i costi aumentano ma non arriva il ritorno sperato e per la prima volta c’è una perdita, intorno ai 300mila euro. “La festa non aveva avuto l’effetto moltiplicatore che c’era stato nelle occasioni precedenti e con questi costi esagerati si è creato il primo buco”, spiega Ermete Fiaccadori, direttore della manifestazione fino al 2014.
È il debito originale, quello che poi esploderà a partire dal 2015 fino ad arrivare ai due milioni di euro di oggi: “Sono tanti soldi dovuti ai fornitori e quando si gestiscono le finanze di una comunità politica la responsabilità è doppia. Forse non c’è stata massima trasparenza”, dice Flaccadori. Per anni, infatti, quel buco è stato coperto, nella speranza di invertire la tendenza. Ma così non è stato e ora la Festa dell’unità di Reggio Emilia potrebbe scomparire: “Per decenni è stato un potente elemento d’immagine oltre che un’occasione di confronto e presenza sul territorio a cui partecipavano centinaia di migliaia di persone”, ricorda Fiaccadori.
Oggi però un’adunata come quella del 1983 con Berlinguer sarebbe impensabile: “Non ci sono più i partiti di una volta, con centinaia di migliaia di iscritti e tantissimi volontari. E anche le modalità di fare politica e le feste di partito devono cambiare. Quel modello, con decine di ristoranti, aperti per oltre tre settimane, non regge più. Per troppi anni non si ha avuto il coraggio di fare scelte radicali”. La discussione su una possibile alternativa è aperta, ma non rimane tanto tempo: “Spero riescano a mettere insieme qualcosa, anche se in misura ridotta. Rinunciare del tutto sarebbe un segno di debolezza enorme oltre che la rottura con una storia ultradecennale. Un problema serio in un momento politico molto aperto come quello di oggi”, conclude Fiaccadori.
Al momento, per evitare la figuraccia, il Pd reggiano sembra stia considerando due alternative: organizzare una piccola festa itinerante nei quartieri cittadini, “un modo per tornare tra la gente”, secondo alcuni, oppure traslocare alla Festa dell’Unità di Modena, a Ponte Alto, dove arriverebbero attività e ristoranti gestiti in autonomia dai circoli reggiani del Pd. Un’idea, quella del trasferimento, osteggiata da tanti volontari storici e invece molto quotata tra i vertici locali del partito, dato che permetterebbe di salvare la faccia e dare comunque una risposta migliore del vuoto lasciato da una delle principali Feste del Pd in Italia. Ma per il momento, si è scelto di non scegliere.