Vive a Parigi dal 2011, e il suo arrivo fu, in realtà, casuale. “Dopo la mia laurea in Scienze biologiche, con una tesi sul rapporto tra cibo e salute vocale, sono stata selezionata per una borsa di studio. Dovevo rimanerci sei mesi, ma me ne sono perdutamente innamorata. Così ho cominciato a lavorare subito in ambito artistico. Adesso sono tre anni che sto lì, in pianta stabile”. È ormai una musicista a tempo pieno Enrica Panza, 35 anni, originaria di Pescara e cantante pop jazz: le sue stelle polari sono Eva Cassidy e Billie Holiday, è coinvolta in vari progetti e all’orizzonte c’è il suo primo disco solista. Allure da predestinata, o da chi comunque calpesta palcoscenici da quand’era ragazzina, la sera si esibisce nei più rinomati club musicali parigini, col suo quintetto fusion e di giorno insegna “Didattica di avviamento musicale applicata al canto” all’Ècole primaire publique. Se fosse rimasta in Italia, ne è convinta, il suo destino sarebbe stato diverso.
“Ho un contratto a tempo determinato, rinnovabile annualmente. Ma sono stata io a volerlo così, al posto dell’indeterminato, per potermi muovere liberamente e non mettere troppo piombo sulle ali della mia attività concertistica presente e futura. Tra l’altro, anche la docenza è stata una mia scelta: potrei andare avanti benissimo solo con la musica”. Lo stipendio a scuola è circa il 30% in più di quello che guadagnerebbe in Italia, mentre per ogni live prende il doppio: il cachet minimo sindacale per gli artisti, in Francia, è di 90 euro netti. “La mia vita, anche in termini economici, è nettamente migliorata da quando vivo a Parigi”, dove è entrata facilmente in contatto con i locali più gloriosi e i musicisti più conosciuti, di fama nazionale e internazionale. “È stato tutto molto semplice e naturale. Ho già fatto concerti in diversi luoghi storici. Siamo in tanti, certo: ma la meritocrazia è un valore predominante”.
Enrica non ha ancora fatto richiesta di accesso allo statuto di intermittent du spectacle (che indica chi ha contratti a tempo determinato): chi ne gode, e sono oltre 250mila tra artisti e tecnici (compresi molti stranieri), ha diritto a una sorta di “reddito di cittadinanza creativa”. A fronte di 507 ore lavorate ogni anno, o di un quorum di 43 cachet da 12 ore ciascuno, viene erogato un assegno di disoccupazione per i successivi otto mesi. Un sistema di indennizzazione delle giornate non lavorative perché “chi lavora nel mondo dello spettacolo, lavora anche quando non lavora”. Gli intermittenti transalpini hanno diritto alla malattia, alla maternità, a un forfait per le vacanze. Di loro si cura il Pole Emploi Spectacle, l’ufficio di collocamento dedicato. Nel 2017 un rapporto della Fondazione Di Vittorio ha invece inserito la maggior parte dei lavoratori italiani dello spettacolo sotto la soglia di povertà.
“Un esempio che dovrebbe essere adottato anche in Italia, dove lo Stato non ci tutela per niente e per sbarcare il lunario si ricorre a mille lavoretti. Al contrario, grazie ai sussidi gli artisti francesi possono concentrarsi al 100% – cuore e cervello, tempo ed energie – sulla propria arte”. Da quelle parti resta alta la considerazione collettiva, delle istituzioni e dell’opinione pubblica, nei loro confronti. “Mi manca la mia famiglia, gli spazi ampi, il respiro del mare del mio Abruzzo. Ma in fondo rientro ogni estate. Tornerei a casa con un biglietto di sola andata a questa precisa condizione: che si riprenda a considerare e garantire veramente noi tutti, musicisti classici, jazz e pop di qualità”.