Dopo Aemilia, Angeli e demoni e Grimilde hanno mostrato preoccupanti coinvolgimenti di amministratori e dirigenti della cosa pubblica Ma manca la reazione forte. Così quando arrivano le indagini e gli arresti, mai una riflessione critica, mai un contributo al perché e cosa e chi non ha funzionato o non ha impedito che i farabutti prendessero il largo
I 27 indagati (con 6 arresti) dell’indagine “Angeli&Demoni” rappresentano l’ultimo tassello di varie inchieste aperte negli ultimi mesi da Forze dell’Ordine, Procura e Direzione Antimafia a Reggio Emilia. Con preoccupanti coinvolgimenti nelle diverse inchieste di servizi essenziali alla persona e di amministratori e dirigenti della cosa pubblica.
Pochi giorni prima l’operazione Grimilde aveva svelato la piena continuità delle attività malavitose di ‘ndrangheta in provincia, anche dopo i 117 arresti di Aemilia nel gennaio 2015. L’arresto dei Grande Aracri a Brescello ha spazzato via definitivamente la tesi del complotto cara a molti amministratori (sia ex che attuali) del Comune che, fino a poco tempo fa, dicevano: “Hanno scelto il nostro paese come capro espiatorio”. Nel mese di marzo l’inchiesta “Camaleonte” in Veneto aveva portato ulteriore conferma a ciò che già era evidente con Aemilia: cuore e baricentro della mafia economica radicata nel nordest è la provincia di Reggio Emilia, nei cui uffici postali avviene spesso la monetizzazione degli affari sporchi.
Prima ancora, nel mese di febbraio, e recentemente all’inizio di giugno, altre due operazioni hanno portato la Procura ad indagare complessivamente 33 persone, in gran parte dirigenti di primo piano ed ex assessori del Comune di Reggio Emilia, per ipotesi di reato che vanno dall’abuso d’ufficio alla corruzione alla turbativa d’asta. Il sindaco Luca Vecchi si insedia in questi giorni in Sala del Tricolore per il suo secondo mandato con il peso dell’indagine sulle spalle.
“Angeli&Demoni”, coordinata dal Sostituto Procuratore Valentina Salvi, aggiunge a tutto ciò l’ipotesi di un presunto sistema illecito di affidi nel distretto della Val d’Enza al confine con Parma. Il sindaco di Bibbiano è agli arresti domiciliari per violazioni delle normative sugli appalti; alcuni operatori sanitari sono accusati di avere provocato traumi ai minorenni e commesso su di loro violenze.
Una inchiesta “umanamente devastante”, l’ha definita il Procuratore di Reggio Emilia Marco Mescolini, perché a fare le spese di presunte operazioni illecite sono in questo caso ragazzi minorenni. Ma nell’insieme le cinque inchieste del primo semestre 2019 sono anche “politicamente devastanti”, perché incrinano la fiducia della gente verso un sistema locale di governo che fatica ad ammettere gli errori, a isolare il malaffare e a conservare la fiducia dei cittadini.
A commento delle diverse vicende giudiziarie che hanno toccato Reggio Emilia in molti, responsabili di ruoli politici o amministrativi, esprimono spesso “piena fiducia” verso i colleghi indagati, definiti “brave persone”, e contemporanea “fiducia assoluta” nella magistratura. Non è una contraddizione, se il concetto di “brave persone” prescinde dal rispetto delle norme e dei doveri.
A febbraio, quando 18 dirigenti del Comune di Reggio vennero indagati per falso ideologico e abuso d’ufficio, il vicesindaco Matteo Sassi, poi indagato, commentò: “Qualcuno di loro andrebbe sospeso; hanno tramato per non fare aggiornare il regolamento”. Se qualcuno andava sospeso, chi doveva farlo se non gli amministratori in carica? L’impressione complessiva è che la politica in questa provincia abbia abdicato al suo ruolo di indirizzo ma anche e soprattutto di controllo.
La politica partecipata a Reggio, più ancora che in altri centri emiliano romagnoli, è sempre stata un punto di forza. Un valore capace di produrre risultati eccellenti: dal sistema educativo a servizi sociali e sanitari avanzati, dallo sviluppo della cooperazione al sano confronto tra obbiettivi d’impresa e diritti del lavoro. Oggi tutto ciò sembra essere imploso, la città normalizzata nel silenzio dei commenti affidati ai social, il confronto tra partiti ridotto ad insulti per gli avversari e grande tolleranza verso sé stessi, la dialettica evaporata nell’individualismo, il divario tra il dire e il fare divenuto un abisso in cui si perdono le buone intenzioni.
E quando arrivano le indagini e gli arresti, mai una riflessione critica, mai un contributo al perché e cosa e chi non ha funzionato o non ha impedito che i farabutti prendessero il largo. “Sotto inchiesta ci sono delle persone” ha detto sempre Mescolini in conferenza stampa, “Non c’è il sistema dei servizi”. È evidente, perché l’azione della Procura è repressiva e colpisce le responsabilità individuali o al massimo l’associazione a delinquere (che però nell’inchiesta Angeli&Demoni non è contestata). Ma quell’affermazione non assolve chi ha il dovere di garantire la qualità di quei servizi senza attendere che siano gli arresti o le sentenze penali a dirci che qualcosa non funziona.
A Reggio Emilia fortunatamente tante cose ancora funzionano, ma guai a lasciare che attecchiscano le tre grandi regole dell’omertà nella catena di comando della vita pubblica: a) Se qualcuno sopra di me mi ordina di fare una cosa, la faccio e taccio. b) Se qualcuno al pari a me commette un illecito, non è compito mio denunciarlo. c) Se qualcuno sotto di me mi segnala un illecito, faccio finta di non averlo ascoltato.