Lo stop lo scorso 3 luglio, l’ottimismo prima di entrare a Palazzo Chigi, i primi “passi avanti” fatti filtrare da fonti governative, ma la fumata bianca ancora non c’è. Anzi: “Servirà almeno un altro incontro”, in programma giovedì. Intanto si è concluso con un nulla di fatto il faccia a faccia sull’Autonomia regionale che ha messo allo stesso tavolo Giuseppe Conte, i vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini, i ministri leghisti Erika Stefani, Marco Bussetti e Lorenzo Fontana, oltre al sottosegretario Giancarlo Giorgetti, i pentastellati Barbara Lezzi, Danilo Toninelli, Alberto Bonisoli, Riccardo Fraccaro, la viceministra Laura Castelli , il sottosegretario Stefano Buffagni e alcuni tecnici dei dicasteri interessati.
Tutta o quasi, insomma, la squadra di governo perché la giornata era considerata cruciale per consentire progressi al dossier Autonomia – i cui testi per la ministra Stefani erano pronti a febbraio – dopo aver trovato un’intesa di massima (ma fragile) sull’impianto finanziario da dare all’accordo con le Regioni coinvolte. “Si fanno dei passi avanti, ma c’è ancora molto da fare”, sottolinea Di Maio. Per Salvini “ci sono riflessioni in corso, io sono ottimista per natura”. “Passi avanti”, conferma la ministra Stefani ma la stretta finale non è arrivata, anche per l’assenza del ministro dell’Economia Giovanni Tria, impegnato all’Eurogruppo. In ballo resta soprattutto la questione competenze, vero oggetto del contendere tra Lega e Cinque Stelle.
Ma non solo. Perché quando giovedì mattina il premier e i suoi due vice torneranno ad aggiornarsi, ci sarà al centro anche la parte finanziaria, dove nel vertice della settimana scorsa sembrava essere stata raggiunta un’intesa. In realtà – stando a fonti M5S e Lega – alcuni nodi sarebbero ancora da sbrogliare e, proprio per questo, si attende la presenza al tavolo del ministro Tria. Dal fronte M5S, tante ancora le distanze: in particolare, il cosiddetto costo medio – uno dei temi centrali nella partita autonomie – ma anche sul Vas, acronimo di Valutazione ambientale strategica, su Sovraintendenze, Autostrade, Ferrovie e porti.
Con i pentastellati che non hanno intenzione di cedere anche sull’istruzione e vorrebbero inserire una norma che consenta al Parlamento di modificare l’intesa con le Regioni, la strada resta in salita. Per quanto riguarda la Scuola, in particolare, lo schema di riforma non è condiviso dai pentastellati per quanto riguarda la norma – prevista dall’articolo 12 – che disciplina l’assunzione diretta dei docenti e i concorsi regionali. Punto, quest’ultimo, che viene contestato in quanto – è la posizione M5s – il rischio è di recar danno alle Regioni istituendo scuole di serie A, B e C con la possibilità di incappare inoltre nell’incostituzionalità della norma.
“Grandi passi avanti in materia di salute, di ambiente, di lavoro. Abbiamo affrontato il tema dell’istruzione, anche se sono state sollevate delle questioni, con la questione degli organici. Punti di vista diversi anche in materia di infrastrutture, concessioni autostradali, ferrovie” ha confermato la ministra Stefani, annunciando che giovedì “andiamo avanti a oltranza finché non si chiude” il dossier. “Ottimismo e fiducia sull’ipotesi di trovare la quadra a partire da una proposta più equilibrata”, livellata in base a due principi cardine, spiegano fonti M5s: il primo è l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni, ovvero i Lep, livelli di servizi che “devono essere garantiti ad ogni italiano indipendentemente da dove vive”; il secondo riguarda il Fondo di perequazione: una volta trasferita una quota di gettito alla Regione, “se la situazione economica dello Stato dovesse cambiare è necessario che parte del maggiore gettito venga indirizzata alle altre Regioni, proprio per garantire stessi servizi da un estremo all’altro della Penisola”.
Alla finestra, i governatori coinvolti, in primis i leghisti Attilio Fontana e Luca Zaia, ma anche il dem emiliano Stefano Bonaccini. Se da un lato il presidente veneto Zaia si ‘affida’ a Conte, per trovare una sintesi alle posizioni “ondivaghe” dei Cinque Stelle, dall’altro il collega lombardo Fontana parlando di un premier in veste di “paciere” precisa che “noi siamo disponibili ad ascoltare quello che ci dirà il governo, purché ovviamente si rimanga nell’ambito di una riforma che sia seria e che soprattutto rappresenti quel cambiamento che deve rappresentare”.
Che non sarebbe stata la giornata del via libera definitivo, lo si era intuito dalle parole del sottosegretario agli Affari regionali,Buffagni, che confidava “assolutamente a un accordo in tempi brevi”, ma di fronte alle parole di Zaia e Fontana aveva sottolineato: “Credo innanzitutto che Fontana abbia un problema con Zaia, perché la posizione tra i due è molto distante, quindi cercano di trovare il nemico fuori, cioè noi, quando in verità credo che la cosa fondamentale sia arrivare a un risultato concreto, perché l’Italia è una ed è giusto aiutare i territori che vanno più forte, ma siamo consapevoli che bisogna aiutare anche gli ultimi”.
E sull’istruzione, oltre ai Cinque Stelle, si è fatto sentire anche il Pd, attaccando il ministro Bussetti: “È il ministro dell’Istruzione di tutto il Paese o solo del Nord? – si chiede Camilla Sgambato, responsabile Scuola dei dem – È gravissimo che sulla regionalizzazione della scuola Bussetti abbia deciso, da ministro dell’istruzione, di allinearsi a Zaia e Fontana, tradendo il ruolo, che invece dovrebbe rivestire, di garante dell’unità del sistema scolastico, che è alla base della coesione del Paese”.