Giuseppe Uva è morto in ospedale a Varese nel 2008 dopo essere stato portato in caserma a seguito di un controllo. La Suprema Corte conferma quanto stabilito con formula piena in primo grado e in appello. L'avvocato della famiglia Cucchi: "Sono addolorato"
La Cassazione mette la parola fine sul caso Giuseppe Uva. I giudici della Suprema Corte hanno infatti confermato l’assoluzione di sei poliziotti e due carabinieri per la morte dell’uomo, deceduto in ospedale a Varese nel giugno del 2008 dopo essere stato portato in caserma a seguito di un controllo. Gli imputati, accusati di omicidio preterintenzionale e sequestro di persona, erano stati assolti sia in primo grado che in Appello, con formula piena. I supremi giudici hanno rigettato i ricorsi presentati dalla Procura generale di Milano e dalle parti civili contro la sentenza d’appello che ha assolto con formula piena tutti gli indagati. All’udienza oggi erano presenti oggi sia gli imputati che i familiari di Giuseppe Uva, convinti che “una sentenza sbagliata rimane sbagliata anche se confermata in Cassazione“. E l’avvocato della famiglia Fabio Ambrosetti hanno aggiunto: “Ci rivolgeremo alla Corte europea dei diritti dell’uomo“.
Di questo caso giudiziario si è molto parlato, insieme a quelli di Stefano Cucchi e di Federico Aldrovandi, morti dopo essere stati fermati dalle forze dell’ordine. Tra un mese circa si conosceranno le motivazioni del verdetto degli ‘ermellini’. “Sono profondamente addolorato, veramente profondamente addolorato. Speravo di non avere questa notizia. Non ho altro da aggiungere”, ha commentato l’avvocato Fabio Anselmo, storico legale di Ilaria Cucchi e in prima fila nella difesa delle vittime di abusi da parte della polizia. E anche Ilaria interviene per commentare la sentenza: “Sono addolorata, come semplice cittadina non ho gli strumenti per comprendere tutto questo ma da cittadina, che ha seguito attivamente il processo Uva fin dai primi istanti, andando ad ogni udienza, posso dire che non dimenticheremo Giuseppe”.
Soddisfatti gli avvocati Fabio Schembri e Luigi Marsico, difensori di alcuni imputati anche se, dicono, “non ci aspettavamo che il Procuratore generale chiedesse l’annullamento della sentenza di assoluzione. La vicenda è comunque chiusa ed è stato stabilito che carabinieri e poliziotti agirono rispettando le regole del nostro ordinamento”. Ad avviso del Pg milanese Gaballo, invece, la condotta degli imputati sarebbe stata “inequivocabilmente la condizione necessaria” che ha portato alla morte di Uva, mentre nel verdetto di proscioglimento i magistrati di secondo grado scrivevano che non è possibile sostenere il “nesso causale” tra il comportamento di agenti e carabinieri e la morte dell’operaio.
In Cassazione, però, la Procura milanese, senza successo, ha insistito nel sottolineare che se gli “imputati non avessero operato al di fuori dei loro poteri, il signor Uva sarebbe tornato a casa e, non subendo alcun trattenimento contro la sua volontà, ammanettato e consapevole dell’ingiustizia che stava subendo, non si sarebbe agitato, non sarebbe stato portato in ospedale – in preda a una fatale tempesta emotiva – non gli sarebbero stati somministrati farmaci e con ogni probabilità sarebbe ancora vivo”.
In base alle indagini, Giuseppe Uva venne fermato a Varese, in Via Dandolo in pieno centro, nella notte tra il 13 e il 14 giugno 2008 da due militari mentre stava spostando, con un amico, delle transenne di un cantiere in mezzo alla strada e rovesciando cassonetti. Fu trattenuto per alcune ore in caserma, e secondo l’amico che era con lui, Alberto Bigioggero, Uva fu vittima di un pestaggio e poi venne trasportato in ospedale a Circolo e sottoposto a trattamento sanitario: qui morì la mattina successiva per arresto cardiaco.
Nel ricorso in Cassazione il Pg di Milano ha contestato anche l’assoluzione dal reato di sequestro di persona contestato agli imputati in quanto la Corte d’Assise d’Appello avrebbe “travisato i fatti”, e avrebbe “erroneamente ritenuto” che “la privazione della libertà di Uva potesse essere legittimata dal dovere di impedire che i reati venissero portati a compimento”. Il 31 maggio del 2018 la Corte d’Assise d’appello di Milano aveva assolto tutti, alleggerendo ulteriormente anche la posizione dei due carabinieri ai quali era stata estesa la formula di assoluzione “perché il fatto non sussiste” già concessa agli altri imputati fin dal primo grado.