Correva l’anno 2005 quando, su impulso del sottoscritto e di Francesco Pastorelli, Pro Natura Torino e la Cipra Italia fecero un censimento degli impianti sciistici dismessi in provincia di Torino, con relativa storia e foto esplicative.

Una iniziativa cui ne sarebbe seguita una analoga da parte di Legambiente e che sarebbe stata citata anche da Paolo Rumiz nel 2009 in un articolo per Repubblica. Articolo nel quale Rumiz trasse quelle conseguenze che erano implicite nello studio: “Dati impressionanti, che sembrano non insegnare nulla a chi in Italia – caso unico in Europa – insiste a sovvenzionare impianti a bassa quota o, peggio ancora, nei parchi nazionali, in barba ai vincoli comunitari”.

La storia degli impianti sciistici dismessi si presta a due frasi tipiche della saggezza popolare. Una è “la storia non insegna nulla”. L’altra è “i soldi per le porcherie si trovano sempre”.

Ma, anche se non è epoca (intesa come stagione dell’anno), facciamo prima una sintetica cronistoria dell’industria dello sci nell’arco alpino occidentale. Nella seconda metà dello scorso secolo, complici inverni con abbondanti precipitazioni, numerose stazioni sciistiche videro la luce, anche in località che sicuramente non erano votate allo sci (perdonatemi l’espressione antropocentrica). Come Viola Saint Gree, o San Giacomo di Roburent. Uno skilift fu inaugurato persino a Sale Langhe, a 480 metri sul dislivello del mare. Ma ecco che, con l’inizio degli anni Novanta, gli inverni con abbondanti precipitazioni divennero un ricordo. Ma ecco anche che all’industria dello sci venne in soccorso un’invenzione americana, quella della neve artificiale, poi chiamata “programmata” (termine, se mi consentite, ancor più antropocentrico del precedente). Fu così che, grazie quanto meno alle basse temperature ed all’acqua che in montagna non mancava, si sopperì alla mancanza della neve naturale. Da lì in poi fu tutto un adeguarsi delle stazioni sciistiche alla moderna tecnologia, senza la quale molte stazioni (anche rinomate) in questi decenni avrebbero chiuso i battenti. Ma le stazioni piccole – anche complice il fatto che i domaines skiables sono più attraenti – chiusero. Da qui il censimento di cui sopra sulle cattedrali nel deserto.

Nel frattempo, le temperature medie, anche invernali, iniziarono a salire. Oggi forse non tutti sanno che l’estensione dei ghiacciai nell’arco alpino è passata dai 2900 kmq degli anni settanta del novecento ai 1792 kmq di oggi.

E’ facile prevedere che fra qualche decina di anni buona parte dei ghiacciai delle Alpi saranno estinti, con conseguenze disastrose per l’ambiente, e che neppure si potrà più creare neve finta (come la chiamo io).

E veniamo allora all’oggetto di questo post: diverse località, anche piccole, anche a bassa quota, in Piemonte (altrove è lo stesso?), progettano in questi anni di ampliare le proprie aree sciabili e/o di mettere a dimora cannoni sparaneve e di costruire appositi bacini artificiali. Ma non solo: la Regione li cofinanzia. È così a San Giacomo di Roburent; è così a Paesana, a Pian Muné, dove gli impianti furono chiusi già anni addietro; è così a Locana, all’Alpe Cialma (la “piccola Sestriere”), dove altresì gli impianti furono chiusi, poi riaperti, ed adesso potenziati; è così all’Alpe Devero, di cui mi sono occupato più volte.

Passiamo sopra la stupidità di potenziare l’industria dello sci, quando è sotto gli occhi di noi tutti il repentino cambiamento climatico che stiamo vivendo. Lasciamo da parte appunto la stupidità, ma mi domando: dato che lo sci è un’industria e, come tale, deve andare soggetta al rischio d’impresa, per quale motivo se un imprenditore sceglie di costruire un impianto di innevamento artificiale, dobbiamo pagare noi tutti? Perché non si investono invece i nostri soldi, ad esempio, in trasporti pubblici in montagna? Proprio nell’arco alpino occidentale, diversi fondovalle si intasano – proprio adesso che sto scrivendo –  a luglio ed agosto di auto con passeggeri in infradito che salgono fin dove c’è l’asfalto. Perché non si investe, anche in passivo se è il caso, su pullman navetta obbligatori? Ne guadagnerebbe l’ambiente. Stessa cosa non si può dire per la neve finta, a causa quanto meno del consumo di energia e di acqua. Io la domanda la pongo, ma so che rimarrà senza risposta.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Rifiuti Roma, dalla chiusura di Malagrotta senza alternative al rogo del tmb Salario: come nasce la crisi e cosa può accadere

next
Articolo Successivo

Nucleare, l’Italia gli ha detto addio prima degli altri. Ma ora è ferma con lo smaltimento

next