Non c’è più tempo per legiferare sull’eutanasia. E’ quasi scaduto quello concesso dalla Corte costituzionale nell’ottobre scorso prima di pronunciarsi sul caso di Marco Cappato per aver aiutato a morire l’ex dj Fabo. E la politica ha rinunciato a usare questo tempo, lasciando anche l’ultima possibilità: l’ennesimo rinvio del disegno di legge che dovrebbe disciplinare il fine vita ha spostato la discussione dal 24 giugno al 15 luglio per nuove audizioni e ora non è nemmeno più in calendario a settembre. “Scomparsa dai radar, in totale dissenso rispetto a quanto chiesto dal presidente della Camera Roberto Fico” commenta a ilfattoquotidiano.it Alfredo Bazoli, capogruppo Pd in commissione Giustizia. “E’ impossibile – dice Matteo Mantero, senatore del M5s – rispettare la scadenza del 24 settembre”. Il 24 settembre è proprio la data fissata dal presidente della Consulta Giorgio Lattanzi quando – parlando del caso di Fabo – aveva parlato di “vuoto normativo costituzionalmente illegittimo”. Un vuoto che rischia di rimanere anche un anno dopo, a causa della inazione quasi totale del Parlamento, paralizzato dai veti incrociati. Determinante è stato quello della Lega: se tra M5s, Pd e Fi è emersa una voglia di collaborare a un testo possibile, i leghisti tornerebbero perfino indietro anche rispetto alla libera rinuncia a idratazione e nutrizione prevista dal biotestamento. “La maggioranza ha deciso di abdicare al suo ruolo legislativo e di lasciare carta bianca alla Consulta – attacca Bazoli – ma è un errore ed è una cosa che mi fa arrabbiare”.
Alla Camera ci sono cinque proposte depositate, ma la discussione non è andata avanti di un centimetro. Nei giorni scorsi l’associazione Luca Coscioni ha denunciato l’immobilismo dei partiti e ha sollecitato un incontro con il leader del M5s Luigi Di Maio e con il segretario del Pd Nicola Zingaretti per parlare anche del “comportamento tenuto dai loro gruppi parlamentari che non hanno mai voluto discutere in Aula i testi per far passare un provvedimento all’interno delle commissioni”. Cappato ha consegnato una lettera a una delegazione della segreteria del Pd (Zingaretti era assente) e ad alcuni funzionari del ministero dello Sviluppo. Ilfattoquotidiano.it ha chiesto di poter parlare con il leader democratico, ma dallo staff hanno fatto sapere che “non intende rilasciare dichiarazioni”.
Il rinvio della discussione e l’assenza di lavori su questa legge a settembre non sono certo una doccia fredda, dato che la discussione è iniziata a gennaio 2019, tre mesi dopo il sollecito della Consulta ed è andata a dir poco rilento. Agli inizi di giugno, nella prima riunione del Comitato ristretto delle commissioni Affari sociali e Giustizia della Camera, il relatore del M5s Giorgio Trizzino ha annunciato l’intenzione di avanzare una proposta che intervenisse solo su una nuova definizione del reato di aiuto al suicidio (articolo 580 del codice penale). Una posizione condivisa sia da Antonio Palmieri e Giusi Bartolozzi di Forza Italia sia da Alfredo Bazoli del Pd. Secondo Bazoli, era “l’unica via per arrivare in tempi brevi a un testo largamente condiviso”, anche se restano dubbi sul fatto che quel tipo di legge rispondesse davvero alle richieste della Consulta. “La maggioranza era d’accordo” conferma Bazoli. Anche il M5s aveva aderito, tanto che si era deciso di fare un ulteriore ciclo di audizioni mirate. “Sapevamo che trovare un accordo era molto difficile – aggiunge – perché le posizioni politiche di partenza su questo tema sono agli antipodi, ma non si può rispondere in questi termini alla Consulta. Occorreva presentare un testo, magari non totalmente adeguato, ma un tentativo andava fatto”. Per Bazoli “è insensato che il Parlamento rinunci a svolgere il proprio ruolo”. Non è stupito dell’impasse il deputato del Pd Ivan Scalfarotto: “Ma la politica ne esce perdente – dice – Con una procedura estremamente innovativa, la Consulta aveva dato una sorta di ultimatum e aveva in qualche modo detto la sua, ossia che quel vuoto normativo è inaccettabile. Sono occasioni perse. In questo caso una dichiarazione della propria incapacità, anche rispetto a questioni che riguardano da vicino la vita delle persone”. Per la deputata di Liberi e Uguali Rossella Muroni “è un fatto gravissimo che il Parlamento abbia di fatto rinunciato a legiferare. Il tutto è ancor più drammatico considerando che parliamo di una questione che ha a che fare con le sofferenze profonde di chi si trova nella condizione di invocare il suicidio assistito”.
Come sarebbe andata a finire, forse, si poteva immaginare già il 5 giugno, quando è stata presentata l’ultima delle cinque proposte di legge depositate a Montecitorio. E’ quella della Lega, firmata dall’ex alfaniano Alessandro Pagano e da Roberto Turri. Un testo non si avvicina a nessuno degli altri testi presentati e, anzi, si distanzia nettamente soprattutto perché mantiene il reato di aiuto al suicidio. Solo nel caso in cui chi aiuta la persona a morire sia un convivente oppure la persona che vuole porre fine alla sua vita sopravviva attraverso strumenti di sostegno vitale la pena prevista va dai 6 mesi ai 2 anni di carcere. Altrimenti si rischia quella attuale, che va dai 5 ai 12 anni. Per Marco Cappato, per intenderci, non cambierebbe nulla. Il testo modifica anche la legge sulle Dat, le disposizioni anticipate di trattamento, dato che introduce nutrizione e idratazione artificiali forzate, mentre si prevede un albo dei medici obiettori. “La proposta della Lega è inaccettabile perché non prevede alcuna depenalizzazione, cosa che la Corte Costituzionale aveva invece chiesto venisse contemplata in alcuni casi” commenta il senatore del M5s Matteo Mantero.
Mantero ha depositato un disegno di legge in Senato al quale hanno aderito Pd e Forza Italia. Ma non la Lega. A Palazzo Madama “la discussione non è mai neppure partita “perché si è preferito iniziare dalla Camera, visto che lì è stato presentato (ormai sei anni fa, ndr) il disegno di legge di iniziativa popolare dell’Associazione Coscioni, firmato da oltre 130mila persone”. Il problema è che quel testo non è mai andato avanti. “Per riuscire ad approvare una legge sull’eutanasia è necessario che i relatori arrivino a un testo unico di base che, ad oggi, non mi risulta ci sia” dice Mantero.
I testi presentati alla Camera, come detto, sono cinque, tra cui quello della Lega di Pagano e Torri. Il primo risale al 2013 ed è la proposta di iniziativa popolare formata da 4 articoli, di cui due superati dalla legge sul biotestamento. Prevede l’assistenza medica al suicidio, anche sotto forma di eutanasia attiva, a patto che i pazienti siano maggiorenni, capaci di intendere e volere, affetti da una malattia produttiva di gravi sofferenze, inguaribile o con prognosi infausta inferiore a diciotto mesi. L’11 febbraio 2019 è stata presentata un’altra proposta, firmata da Andrea Cecconi, ex M5s e ora deputato del gruppo misto: secondo questo testo l’eutanasia dovrebbe essere garantita dal servizio sanitario nazionale e avvenire in strutture pubbliche. La disciplina dell’eutanasia, però, verrebbe introdotta – e non è un passaggio di poco conto – all’interno della legge sul biotestamento, esponendo quest’ultima agli emendamenti. Lo stesso vale per il testo presentato il 7 marzo da Michela Rostan e Federico Conte, sottoscritto da altri deputati di Leu. “L’ordinanza 207 della Corte relativa al caso Cappato – spiega la Rostan – ci chiede di intervenire con un’apposita disciplina per bilanciare valori di primario rilievo e coprire un vuoto”. La proposta di legge a sua firma mira a “definire la non applicabilità degli articoli 575, 579, 580 e 593 del codice penale al medico e al personale sanitario che hanno praticato trattamenti eutanasici, provocando la morte del paziente, qualora ricorra una serie di condizioni”. Il 30 maggio è stato presentato il testo dei deputati M5s (primi firmatari Giorgio Trizzino, relatore, Doriana Sarli e Gilda Sportiello). La proposta fa rientrare suicidio assistito ed eutanasia nei livelli essenziali di assistenza. “Le relative prestazioni sono erogate gratuitamente”, senza alcuna compartecipazione alla spesa da parte del paziente. Si disciplina l’obiezione di coscienza per il personale sanitario, ma l’ospedale deve garantire il rispetto del desiderio del paziente di porre fine alla sua vita.