“Nei prossimi due o tre anni avremo bisogno di 5-6 mila lavoratori ma non so dove andarli a trovare. Carpentieri, saldatori… Abbiamo lavoro per 10 anni e cresciamo ad un ritmo del 10% ma sembra che i giovani abbiano perso la voglia di lavorare. Il lavoro è dignità, se uno si accontenta di fare il rider a 500-600 euro… Da noi un lavoratore medio prende 1600 euro. Allora se uno volesse guardare al futuro non si accontenterebbe di fare il rider, anche perché non è che fare il rider è meno faticoso di fare il saldatore. Purtroppo mi sembra che abbiamo su questo cambiato cultura”. Sono le frasi pronunciate dal numero uno di Fincantieri, Giuseppe Bono, riconfermato a marzo dal governo Conte come amministratore delegato del gruppo pubblico, nel corso di una tavola rotonda sul lavoro che cambia alla conferenza di organizzazione della Cisl.
“Sento parlare tanto di lavoro, crescita, infrastrutture, porti, autostrade ed aeroporti”, ha continuato Bono, al vertice di Fincantieri dal 2002 dopo aver guidato Finmeccanica. “Ma penso che tra un po’ di tempo avremo più università che laureati, più porti che navi, più aeroporti che passeggeri. Questi sono gli sprechi del Paese, vogliamo tutto ma vogliamo che lo facciano gli altri“. Il gruppo della cantieristica, la cui quotazione in Borsa nel 2014 è stata un flop, è stata incaricata a fine 2018 di ricostruire il ponte Morandi di Genova insieme a Salini Impregilo e Italferr.
Il ministro del Lavoro e vicepremier Luigi Di Maio, commentando le parole di Bono, si è limitato a dire che “le nuove politiche per il lavoro che stiamo costruendo andranno proprio nella direzione di colmare il gap tra domanda e offerta di lavoro” e “siamo pronti con l’Agenzia Nazionale delle Politiche Attive a dare supporto a Fincantieri nel formare le maestranze di cui ha bisogno”.