Una proroga del termine delle indagini preliminari: l’inchiesta potrà andare avanti solo sei mesi per quasi tutti i tipi di reato. E dunque le inchieste potranno durare al massimo un anno in totale. La novità è contenuta nella bozza della riforma del processo penale, inserita nella complessiva riforma della giustizia, visionata dall’Ansa.  Attualmente sono possibili tre proroghe, che possono portare a due anni la durata delle indagini preliminari anche per i reati più lievi. Con la riforma le inchieste sui reati puniti con la pena pecuniaria o con la pena detentiva non superiore nel massimo a tre anni potranno durare al massimo un anno, visto che il termine normale è di 6 mesi.

Diversa la questione, invece, per i reati di medio – alta gravità: la durata normale delle indagini preliminari sarà di un anno. Per i gravissimi, come quelli di mafia, strage, omicidio, violenza sessuale, di un anno e sei mesi. Ma non solo. Perché oltre alla nuova durata delle indagini preliminari ,arrivano sanzioni disciplinari per i pm che per “dolo o negligenza inescusabile” non rispettano la tempistica prevista per la richiesta di archiviazione o di rinvio a giudizio. Non solo: i pm che entro tre mesi dalla scadenza del termine massimo restano inerti, avranno l’obbligo di depositare cioè di “svelare” gli atti di indagine compiuti. E chi non lo farà, sempre per dolo o negligenza inescusabile,compirà un illecito disciplinare.

In particolare la bozza di riforma prevede che se entro 3 mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini preliminari (che diventano 5 o 15 per i reati più gravi) il pm non ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini (è l’atto che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio) o non ha richiesto l’archiviazione, scatta la tagliola: l’obbligo per il pubblico ministero di notificare “senza ritardo” all’indagato e alla persona offesa dal reato “l’avviso del deposito della documentazione relativa alle indagini espletate “, informandoli della facoltà “di prenderne visione ed estrarne copia”. La notifica di questo avviso potrà essere ritardata “per un limitato periodo di tempo e con provvedimento motivato” per i reati più gravi, come mafia e terrorismo in testa. La violazione di queste norme- è scritto nella bozza di riforma- costituisce un “illecito disciplinare, quando il fatto è dovuto a dolo o negligenza inescusabile”. Se dopo l’avviso alle parti il pm resta inerte, cioè non esercita l’azione penale e non chiede nemmeno l’archiviazione “entro il termine di 30 giorni dalla presentazione della richiesta del difensore della persona sottoposta alle indagini o della parte offesa, il suo comportamento integra “un illecito disciplinare, quando il fatto è dovuto a dolo o negligenza inescusabile”.

In questo momento, in Italia la durata media delle indagini preliminare è tredici mesi, 404 giorni per la precisione. Numeri contenuti dalle statistiche più recenti del ministero della Giustizia, riferite al 2017 e che si concentrano sui reati con autore noto. Dati diffusi dal Sole 24 Ore e che si riferiscono al 2017. Nel dettaglio il 53% delle indagini si è chiusa entro il termine ordinario di sei mesi e il 26% entro i due anni, il 20% ha invece sforato i due anni. Il 4,6% dei procedimenti si è addirittura prescritto nella fase delle indagini preliminari. Tempi che ovviamente cambiano da una procura all’altra. Il record della procura più lenta d’Italia appartiene a Brescia con una media di 829 giorni, quella più veloce è Trento con 108 giorni per chiudere un fascicolo.

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