Un apparecchio bianco, ingombrante ma non troppo, chiamato PEMS, acronimo di “Portable Emissions Measurement System”: agganciato alla coda del veicolo, consente di portare direttamente su strada il laboratorio per analizzare le emissioni inquinanti dei motori termici di ultima generazione. E al netto di una prova pratica e dinamica – il test RDE (Real Driving Emission), obbligatorio da settembre 2017 insieme all’introduzione del nuovo ciclo Wltp – possibile grazie proprio all’utilizzo del PEMS, queste alimentazioni si dimostrano più “buone” con l’ambiente di quanto ci si aspetterebbe.

La prova pratica in questione, una simulazione di test RDE, è stata organizzata nei dintorni di Roma da Bosch, ancorando il rilevatore di emissioni a una Bmw Serie 2 Active Tourer 218d e a una Peugeot 3008 BlueHDi 130: in entrambi i casi, a soddisfazione di parametri come durata della prova, tipologia di percorso, velocità medie e tempi di sosta, le emissioni di ossidi di azoto (NOx) dei diesel non hanno superato né i limiti imposti dalla normativa Euro 6d-temp e neppure quelli della futura Euro 6d.

Una dimostrazione del lavoro che Bosch, tra i maggiori fornitori di componentistica per il settore automotive, sta conducendo per arrivare ad una mobilità a zero impatto ambientale, impegnandosi sul doppio fronte della spinta a quella elettrica e della rivalutazione di quella “tradizionale”. Per questa seconda missione – la riqualificazione dei motori biella e pistoni, appunto – l’azienda tedesca sta sviluppando una tecnologia in grado di migliorare l’efficienza del motore diesel, il ricircolo e il trattamento dei gas di scarico, ottenendo risultati piuttosto significativi.

Infatti, lavorando soprattutto sulla gestione della temperatura dei gas di scarico e tenendola sempre oltre i 200 gradi, si assicura una conversione ottimale degli ossidi di azoto, le emissioni inquinanti che rendono tanto cattivo il diesel: secondo Bosch questi inquinanti si riescono a tenere a bada, raggiungendo finora una media di 13 mg/km.

Sono proprio gli ossidi di azoto a fare la differenza tra la “demonizzazione” del diesel e la “beatificazione” del benzina, il cui inquinamento – specialmente in aree urbane – è determinato in gran parte proprio dal primo tipo di alimentazione. Un discorso che non vale per le emissioni di CO2, da imputare piuttosto ai benzina, che ne producono di più. Un riscontro in questo senso si ha guardando anche i dati di vendita del diesel nell’ultimo anno: a fronte di un deciso calo di immatricolazioni di auto alimentate a gasolio, che si è perpetrato anche nel primo semestre del 2019, è andata ad aumentare la CO2; lo scorso anno ha registrato una media ponderata di 114,7 g/km e da gennaio a maggio di quest’anno si è attestata su 120 g/km. Insomma, sembra che ancora una volta il vituperato diesel abbia tutte le carte in regola per rimanere nei listini per lungo tempo.

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