E’ braccio di ferro tra le autorità governative di Tripoli e le agenzie Onu sul caso dei migranti sopravvissuti al bombardamento della settimana scorsa sul centro di detenzione di Tajoura. Nessuna liberazione tout court, piuttosto, in parte, una redistribuzione delle persone e in linea generale una grande confusione su come suddividerle. Martedì l’Unhcr, attraverso una serie di tweet, si è affrettata a ringraziare il Gna, il governo di concordia nazionale guidato da Fayez al-Sarraj, per la liberazione delle persone ospitate. Ma la confusione regna sovrana a Tripoli dopo la mattanza della notte tra l’1 e 2 luglio scorsi.

Stando a statistiche accertate sul campo, dal centro di Tajoura sono state evacuate 386 delle 603 persone presenti al momento dell’attacco che ha provocato almeno 53 morti (secondo il Dcim, riferite in un tweet, le vittime ufficiali sarebbero al momento 33) e almeno 80 feriti. Si tratta esclusivamente di uomini originari di Somalia, Eritrea, Sudan, Camerun, Niger, Nigeria, Ciad, Senegal, Ghana, Guinea, Gambia, Nepal, Bangladesh, Egitto, Tunisia, Algeria, Marocco e Pakistan. Di questi, un numero che va dalle 50 alle 70 unità si è dileguato nel nulla, approfittando appunto della confusione post attacco e facendo rapidamente perdere le proprie tracce. Gli altri sono stati solo in parte ‘liberati’. In realtà si tratta di trasferimenti in altre strutture.

Una sessantina sono stati trasferiti nel Gdf, Gathering & Departure Facilities, il famoso centro di accoglienza con frigobar e condizonatori, gestito dall’Unhcr, presentato dal Ministro degli Interni, Matteo Salvini, nel giugno 2018 e attivato soltanto da pochi mesi. Il centro accoglie soprattutto soggetti fragili e stranieri di alcune nazionalità in possesso dello status di rifugiato, ad esempio tutti quelli in arrivo dal Corno d’Africa. Questi sono destinati a restare nel Gdf che si trova nel cuore di Tripoli, esattamente di fronte al centro di accoglienza di Trik al-Sikka, dove le condizioni sono molto diverse. E’ probabile che l’Unhcr riesca ad organizzare un ponte aereo con alcuni Paesi, tra cui l’Italia, per trasferire le 60 persone e allontanarle definitivamente dalla Libia.

Diverso il discorso per gli altri. L’agenzia Onu per i rifugiati parla di ‘nostre strutture a Tripoli e dintorni’ dove appoggiare gli evacuati di Tajoura. In parte sarà anche così, ma il grosso dei migranti ieri è stato spostato nel centro di Abu Salim, lungo Airport road, alla periferia sud di Tripoli, a pochissima distanza dall’ex centro di Trik al-Matar, chiuso dopo gli scontri tra milizie a cavallo tra il 2018 e il 2019. Lì dentro, in particolare, sono stati trasferiti tutti gli africani dei paesi subsahariani, ossia i veri dannati di questa storia.

Non potendo richiedere lo status di rifugiato, in quanto non considerati dall’Onu a rischio perché nei loro paesi non ci sono guerre e conflitti sociali, sono quelli destinati ad essere semplicemente spostati come pacchi da un centro all’altro. Fino a quanto qualcuno non cercherà di scappare, non verrà venduto alle milizie che si occupano della tratta di esseri umani, oppure non sceglieranno di aderire ai piani di rimpatrio assistito dell’Oim, l’altra agenzia Onu che si occupa del rientro dei migranti nei Paesi d’origine.

La liberazione, se di liberazione si può parlare, riguarda alla fine soltanto i soggetti più fragili che rientrano nelle sette nazionalità a cui è possibile dare lo status di rifugiato: Eritrea, Somalia, Etiopia, Sudan (Darfour), Palestina e Yemen. Il resto si tratta semplicemente di spostamenti in altri centri, dopo che proprio all’interno dei resti del centro di Tajoura si è verificata un’accesa protesta da parte dei migranti nei confronti sia della direzione del centro che del personale di Unhcr.

Sulle manovre per smistare rifugiati e richiedenti asilo è intervenuto il Ministro degli Interni, Fathi Bashagha: “Avevamo dato l’autorizzazione all’Onu soltanto per il trasferimento di 70 persone. Gli altri sono usciti di loro iniziativa e non è stato possibile fermarli per evitare di usare la violenza. Escludo che si sia trattato dell’inizio di una liberazione generalizzata di tutti i migranti detenuti in Libia. Tra l’altro questa confusione ha generato una reazione, spingendo un cospicuo numero di migranti a protestare e a lasciare il centro. Elementi del ministero dell’Interno hanno dovuto evitare di scontrarsi con i migranti e di impedire loro con la forza di uscire per rispetto dei diritti umani. La situazione ha prodotto l’uscita pacifica di un certo numero di loro, i quali alla fine sono scomparsi nelle strade della capitale. Adesso chiedo a tutti quelli che sono usciti di ritornare al centro, affinché la loro situazione sia regolarizzata in coordinamento con l’Unhcr”.

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