“E’ normale! La puzza è normale!”, assicura con accento romanesco dietro agli occhiali scuri. E’ il 4 febbraio, gli abitanti hanno la mascherina sul naso per sopportare. Da giorni l’odore è più forte del solito e si sono dati di nuovo appuntamento davanti ai cancelli della Sep. Questa volta Vittorio Ugolini si è fatto vivo per rassicurarli. Ha attraversato oltre 25 di indagini, il gestore dell’impianto di compostaggio di Pontinia, a partire da quelle che agli inizi degli anni 90 svelarono il fenomeno del traffico di rifiuti in Italia. Il 13 giugno l’inchiesta “Smoking fields” ha acceso l’ennesimo faro e la Dda di Roma lo indaga con l’accusa di aver sversato oltre 57mila tonnellate di compost avvelenato nelle campagne tra Latina e la Capitale. Lui è sempre uscito indenne da tutto. E gli enti locali hanno continuato a trattarlo come un re, moltiplicando le autorizzazioni per le sue imprese.

La storia del monnezzaro romano affonda le radici nella fine degli anni ’80. Nunzio Perrella si è pentito. Il boss del Rione Traiano trascorre giornate intere a riempire verbali davanti ai pm di Napoli e nelle carte dei magistrati finisce anche il nome di Ugolini, classe 1944. E’ il primo che gli inquirenti consegnano ai cronisti il 30 marzo 1993. Quella mattina dalla Direzione distrettuale antimafia partono 116 ordinanze di custodia cautelare all’indirizzo di politici, imprenditori, amministratori e camorristi. E’ l’operazione “Adelphi“, con cui la magistratura apre un primo squarcio in quell’inferno chiamato “Terra dei fuochi” in Campania, scelta dalla camorra e dai suoi addentellati nel mondo della politica e dell’economia come discarica degli scarti tossici delle regioni del Nord.

A Roma, in un filone parallelo sul traffico di droga, le manette scattano ai polsi tra gli altri di Michele Senese – detto “O’ pazzo”, uno dei quattro “re di Roma” secondo la definizione coniata da Lirio Abbate nella sua storica inchiesta sull’Espresso – e nel registro degli indagati finiscono 5 imprenditori titolari di 4 società di stoccaggio e trasporto di rifiuti tossici. “Gli investigatori hanno rivelato un solo nome – si legge nel lancio Ansa delle 15.36 – quello della Sir, una società con 150 dipendenti, di cui è amministratore Vittorio Ugolini”. Per lui i pm ipotizzano vari reati tra cui “l’associazione a delinquere di stampo mafioso”. “Il mio assistito non ne ha saputo più nulla – spiega Domenico Oropallo, legale di Ugolini – probabilmente è stato archiviato in fase di indagine”.

Molte, quelle che hanno riguardato la Sir. Nell’ambiente la Società Imprese Riunite Srl è una potenza: è specializzata nella “raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti urbani, speciali e tossico-nocivi” e lavora in tutta Italia. Tra il 1995 e il 1996 Ugolini ne è amministratore unico, dal 1999 ne diventa direttore tecnico. Il 24 ottobre 1997 una delegazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti scopre in uno dei suoi capannoni, sempre a Pontinia, 11.600 fusti “alcuni svuotati di sostanze pericolose ma non trattati, altri pieni di rifiuti pericolosi – si legge nella relazione – Ufficialmente l’impianto doveva provvedere alla loro pulizia, ma nel sito non era presente alcun macchinario idoneo allo scopo”. Così nella struttura la procura di Latina mette a segno quello che all’epoca era stato “il più rilevante sequestro mai effettuato in Italia”.

Ugolini aveva cominciato a utilizzare il sito appena 8 mesi prima, nel febbraio 1997, nelle stesse settimane in cui i pm di Napoli erano al lavoro su un documento appena sfornato dalla Criminalpol. “Le intercettazioni effettuate sulle utenze della Sir, dei Gava, degli Ugolini e dei Fiorillo ponevano in evidenza quella sorta di ‘filo rosso‘ che lega, l’uno agli altri, tutti i protagonisti di questa ordinaria storia di ecomafia”, si legge nell’informativa del 12 dicembre 2016 in cui il poliziotto Roberto Mancini, tra i primi a tracciare le relazioni tra politica, imprenditoria e camorra alla base della “Terra dei fuochi”, ricostruiva la spartizione dei territori tra i gruppi impegnati negli sversamenti dei fanghi industriali.

“L’unico accorgimento – scriveva Mancini, ucciso il 30 aprile 2014 da un cancro contratto durante le indagini, riportando le parole intercettate di Perrella – è quello del reciproco rispetto con la Rona (srl che, insieme alla Sir, rappresenta le società di Gava Rosario, Fiorillo Vincenzo e Ugolini Vittorio) affermando espressamente che “dove stanno loro, dove lavorano, noi non dobbiamo andare e loro non debbono venire dove lavoriamo noi”. Tra “loro” figura anche il citato Vincenzo Fiorillo, che nella Sir era socio al 50% di Ugolini, non indagato nell’inchiesta.

Per anni Vittorio e Vincenzo sono culo e camicia. Sono soci nella Tiburtina Gestioni Srl, società che aveva rilevato nel 1993 l’impianto Ex Chimeco di Guidonia, anche questo finito sotto la lente della Commissione parlamentare d’inchiesta perché per anni pieno di rifiuti pericolosi. “Si stima che nei serbatoi e nelle vasche siano presenti circa 2.500 metri cubi di rifiuti liquidi – si legge nella relazione finale – I rifiuti raccolti quando l’impianto era in funzione sono stati accumulati dal gestore in modo promiscuo e mescolati indiscriminatamente (…). In ogni caso, tutti i rifiuti presenti sono da classificare tossici e nocivi, contrariamente a quanto riportato nell’autorizzazione”. I due sono soci anche nella Ines Sud di Brindisi, dove Fiorillo viene arrestato nel 2009 per traffico di rifiuti speciali pericolosi.

“Anni di sequestri e indagini e neanche una condanna“, assicura Oropallo. A parte una in appello per i miasmi della Sep che, annullata con rinvio dalla Cassazione, finisce in prescrizione: “Risale al 2012 e riguarda gli odori che fuoriescono dall’impianto. Robetta”, chiosa il legale. In realtà nel 2016 arriva un’altra prescrizione: il patron era accusato di aver messo in piedi una truffa con un amministratore di Sabaudia per far risultare il comune costiero più virtuoso di quanto non fosse nella raccolta differenziata e garantirgli la “bandiera blu”, ma dopo 10 anni non era arrivata neanche la sentenza di primo grado. “Quella vicenda non stava in piedi – conclude Oropallo – se lo immagina un imprenditore mettere in piedi una truffa con la pesa dell’impianto per poche centinaia di euro?”.

Ugolini esce sempre pulito da tutto e continua a lavorare e a capo della Sep mette il figlio Alessio. Gli riesce particolarmente bene nel Lazio. Dal 18 agosto 2003 la società è autorizzata dalla Provincia di Latina palla produzione di “compost di qualità”. Il rinnovo arriva il 22 ottobre 2012 e prevede un aumento del 10% della capacità di trattamento, raggiungendo quota 49.500 tonnellate l’anno, 200 al giorno. Per due volte, nel 2015 e nel 2016, l’Arpa comunica alla Direzione Rifiuti della Pisana che gli impianti non sono a posto, ma il il 27 giugno 2017 arriva un ulteriore premio: un aumento del trattamento giornaliero da 200 a 250 tonnellate – ferme restando le 49.500 annue totali. E da mesi alla Pisana si ragiona sulla richiesta di un ulteriore aumento del conferimento per portare le tonnellate annue lavorate da 49.500 a 60mila.

Ha collaborato Vincenzo Iurillo

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