“Un ordigno simile a quello utilizzato a Bologna non si trova in altri attentati”. “Del paragone con l’esplosivo utilizzato dalla Frolhich mi prendo la responsabilità, ma se dovessi riscrivere la relazione non lo rifarei”. E dopo aver visto una foto a colori della scena: “L’interruttore? Ho visto che potrebbe trattarsi di una placca”. Sono queste le dichiarazioni in aula di Danilo Coppe, l’esperto incaricato dalla Corte d’Assise di Bologna della perizia chimico esplosivistica, disposta nell’ambito del processo che vede imputato l’ex Nar Gilberto Cavallini per concorso nella strage del 2 agosto 1980.

Coppe, dopo aver depositato il documento il 27 giugno scorso, si è presentato in aula il 10 luglio per rispondere alle domande dei pm e delle parti. La nuova perizia aveva, a fine giugno, riportato in luce la cosiddetta “pista palestinese“, proprio per il collegamento fatto dal perito con Margot Christa Frohlich. Nelle carte il perito aveva scritto che un interruttore ritrovato ai Prati di Caprara, che potrebbe essere quello utilizzato per la bomba della stazione, era simile a quello trovato alla Frohlich quando venne arrestata a Fiumicino nel 1982: si tratta della terrorista tedesca indagata e poi archiviata insieme a Thomas Kram nella cosiddetta “pista palestinese”, ipotesi alternativa a quella accertata dalle sentenze passate in giudicato che si sono concentrate su una pista neofascista.

In aula però ha corretto il tiro, dopo aver visionato una foto a colori che fa parte di alcuni verbali consegnati ieri dalla difesa di Cavallini, relativi proprio al sequestro di esplosivo del 29 ottobre 1982 a carico della terrorista tedesca. “Ho visto che potrebbe trattarsi di una placca, piuttosto che di un interruttore”. Da qui la correzione.
Nel corso dell’audizione Coppe e il colonnello del Ris di Roma, Adolfo Gregori, che ha preso parte alla perizia, hanno specificato che allo stato attuale “un ordigno simile a quello utilizzato a Bologna non si trova in altri attentati”.

La nuova perizia, svolta con tecnologie e mezzi che in precedenza non esistevano, riguardava proprio il ritrovamento di un interruttore elettrico di tipo “on-off” – sul quale è stata ritrovata l'”impronta” dell’esplosivo – incompatibile non solo con qualsiasi deviatore presente nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna dove venne posizionata la valigia contenente l’ordigno ma, anche, con materiale appartenente alle Ferrovie.

Secondo quando è scritto nella perizia, l’interruttore, simile ad un interruttore dei tergicristalli di un’auto, posizionato su una staffa di metallo, piegata da un lato, di circa dieci centimetri di lunghezza per 3 centimetri di altezza, trovato l’estate scorsa dall’esplosivista geominerario Danilo Coppe nel mucchio di materiale che venne ammassato all’epoca della strage all’interno della caserma di Prati di Caprara quando la stazione di Bologna venne sgombrata dai detriti dopo l’attentato, è compatibile con un interruttore di sicurezza artigianale realizzato da chi ha costruito l’ordigno ed è stato utilizzato per evitare l’esplosione durante il trasporto. Ma, trattandosi di un congegno artigianale, sarebbe stato difettoso.

Le varie somiglianze con quanto trovato nella valigia di Christa Margot Frohlich, meno di due anni dopo la Strage alla stazione di Bologna, avevano, quindi, riaperto i possibili collegamenti con il terrorismo di estrema sinistra: durante l’arresto del 1982 erano stati trovati 3 chilogrammi e mezzo di miccia gommata verde, composta da Pentrite prodotta nei Paesi del Patto di Varsavia, oltre a un timer, una sveglietta a batteria marca Emes dalla quale fuoriuscivano due fili elettrici, due detonatori elettrici in alluminio e un oggetto, una staffa semicurva con un interruttore, secondo la perizia identico a quello trovato a Prati di Caprara. Subito dopo il deposito della nuova perizia, il 27 giugno scorso, i difensori dell’ex Nar Cavallini avevano dichiarato che speravano nella riapertura della “pista palestinese”.

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