Cinquanta scatti, cento nel catalogo, che raccontano la guerra in Afghanistan del 2001, la guerra in Iraq del 2003, la “rivoluzione arancione” in Ucraina del 2004, l’Iran degli ayatollah, il terremoto ad Haiti del 2010. È la mostra “Roberto Di Caro: Taccuino per immagini”, che verrà inaugurata il 12 luglio alle ore 18 nella sede dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna, in via Aldo Moro 50 a Bologna. La mostra, a cura di Sandro Malossini e prodotta dall’Assemblea legislativa, sarà visibile fino al 20 agosto.
Le immagini documentano parte del lavoro di Roberto Di Caro come inviato del settimanale L’Espresso per seguire le principali crisi internazionali. I mujaheddin al fronte, la resa della roccaforte talebana di Kunduz, il conflitto contro Al Qaeda in Kurdistan, gli attentati a Baghdad ma, spiega Di Caro in un’intervista a Malossini, “anche il tentativo di dar conto dell’altra faccia delle guerre, che non sono fatte solo di cannoni e kalashnikov e morti ammazzati”. Scorrono dunque nelle immagini in mostra la quotidianità difficilmente immaginabile di un Afghanistan senza pace da decenni, la frenesia del ritorno alla normalità nell’Iraq dopo la caduta di Saddam, l’ayatollah Khamenei e il vertice del potere in Iran alla musallah di Tehran, la folla in piazza a chiedere democrazia a Kiev, la vita ad Haiti nei terribili giorni del terremoto tra le rovine e i palazzi ancora in fiamme.
“Mi sono trovato – racconta il giornalista – in situazioni uniche: quando mai ti trovi ad essere in una città mentre la stanno liberando? I nostri genitori, i nostri nonni hanno vissuto situazioni simili, ma della mia generazione e quelle successive in pochi. Il mio lavoro è raccontare con le parole, ma mi sono anche trovato a scattare fotografie e ho visto com’è mutato il mondo del giornalismo tra il 2001 e il 2010. Già quando sono andato ad Haiti dopo il terremoto i mezzi a disposizione erano molto di più ed era più facile comunicare: in Afghanistan invece il mio primo satellitare era una scatola grossa da indirizzare con una bussola perché se no non prendeva. La tecnologia ha cambiato profondamente le modalità del lavoro, dando più opportunità”.
E, conclude Di Caro: “Il mio mestiere è scrivere, raccontare con le parole, dopo aver cercato, osservato, consumato le suole delle scarpe, fatto domande, ascoltato, discusso, persino annusato. Sì, per me la fotografia è come un taccuino per immagini: non tanto nel senso spicciolo in cui oggi, con le digitali e le camere dei cellulari, uno scatto orrendo ti può tornare utile per ricordarti un dettaglio quando ti metti a scrivere ma, tanto più quando ancora si usava la pellicola e sviluppavo magari al rientro in Italia un mese dopo, come un diario personale in cui fissare determinati momenti, volti, espressioni, azioni, situazioni. Per me, per il mio giornale e, eventualmente, per altri”.