Il numero uno del sodalizio italo-americano, in un'intervista a La Stampa, è tornato sulle trattative per il matrimonio con i francesi spiegando perché ha deciso di tirarsi indietro
John Elkann? Per diversi cronisti e analisti di settore il Presidente di FCA non è mai stato realmente all’altezza di una figura carismatica come quella del compianto Sergio Marchionne, ex amministratore delegato scomparso la scorsa estate, che per lungo tempo ne aveva eclissato l’immagine. Tuttavia, sembra che le ultimi vicissitudini industriali del sodalizio italo-americano, ivi compresa la mancata fusione con Renault, abbiano tirato fuori più che mai il carattere del giovane Presidente: sarebbe stato proprio Elkann a dare il ben servito ai francesi, conscio che la partita stava andando troppo per le lunghe. Un colpo di reni inatteso, da leader tutto d’un pezzo.
Il Presidente di FCA è tornato a parlare della questione in un’intervista rilasciata a Maurizio Molinari, Direttore de La Stampa, concessa in occasione dell’installazione del primo robot della linea di montaggio che sfornerà la Fiat 500 elettrica. “Bisogna saper cogliere le opportunità giuste, come è avvenuto con Chrysler, che ci ha permesso di usare meglio il nostro capitale per creare più automobili e migliori. L’operazione con Renault era concepita in quest’ottica ed era stata accolta come tale. Ma le fusioni sono complicate da fare e gestire. Per procedere devono esserci le condizioni giuste ed è importante sapere dire di no quando non ci sono. Come fu un atto di coraggio la fusione con Chrysler, così è stato un atto di coraggio provare con Renault”.
Parole che, apparentemente, sembrano confermare l’opinione di chi crede il possibile matrimonio con la Losanga sia una questione morta e sepolta. E che, di conseguenza, apre la strada di FCA a un futuro da “solista” del settore automotive, perlomeno per il momento: “Oggi la nostra società è forte come mai prima: con i suoi circa 200.000 dipendenti, che lavorano in oltre 100 stabilimenti e 46 centri di ricerca, alla fine del 2018 aveva ricavi per 110 miliardi di euro, un utile netto di 3,6 miliardi di euro e cassa positiva. Numeri che il piano di sviluppo in corso vede in ulteriore crescita che fanno di FCA uno dei maggiori produttori di auto al mondo, presente in 135 paesi con 13 marchi e alla 500 che ha un record di vendita pari a 6 milioni di vetture”. Va detto, però, FCA è ancora molto indietro rispetto alla concorrenza in termini di tecnologia elettrificata, connessa e per quando concerne la guida autonoma (su cui, però, il costruttore ha diverse alleanze in essere). Inoltre, il portafoglio di nuovi prodotti langue e le vendite europee, specie quelle dei marchi premium del Gruppo, sono da dimenticare.
Ma John Elkann non accetta che Torino sia definita da alcuni come una piccola provincia dell’impero FCA, sotto lo scacco di ciò che si decide ai piani alti di Detroit, sede del braccio americano dell’azienda. Anzi, le sinergie intercontinentali fra le varie anime del gruppo sono la chiave di volta per il successo: “Torino si è affermata come grande città dell’auto soprattutto grazie al successo di Fiat. Ed oggi con Chrysler siamo presenti in un’altra grande città dell’auto, Detroit, partecipando alla sua rinascita durante gli ultimi anni. Per esempio la Jeep Renegade coniuga la nostra capacità storica di realizzare piccole auto con un marchio che ci ha permesso di imporci nel mondo. Dimostrando come, mettendosi assieme, si possono fare cose che non si sarebbero neanche immaginate”.
La suv di taglia urbana a marchio Jeep, quindi, diventa il prototipo di un modo virtuoso di fare industria e da cui, verosimilmente, passa anche il futuro degli stabilimenti italiani: questi ultimi, spiega Elkann “se prima servivano solo il mercato domestico, o al massimo quello europeo, ora invece producono anche per gli Stati Uniti. E’ un volano di crescita formidabile. Basti pensare che chi trasporta la Jeep Renegade dall’Italia in Nordamerica ha investito per aumentarne il numero di navi. E’ un successo frutto della scelta di essere nel mondo con le proprie radici. Ed avere la possibilità di avere più radici, diverse fra loro, come abbiamo fatto con Chrysler consente all’albero di essere molto più forte”. A patto che il giardiniere sappia avere il pollice verde.