Enrico Cuccia, nel 1979, ha 72 anni e, ab immemorabili, è un’icona e un simbolo di Milano: nato in Sicilia, intellettuale, protagonista della rinascita industriale dell’Italia dopo il fascismo, si dice sappia tutto delle debolezze e della fragilità del sistema finanziario italiano ed è nota la sua avversione nei confronti del capitalismo di rapina. Nel suo ufficio, in via dei Filodrammatici, a due passi da piazza della Scala, nella sede di Mediobanca, unica vera banca d’affari e luogo di compensazione della finanza laica, Cuccia promuove incontri, realizza fusioni, salvataggi da crisi e compromessi tra famiglie industriali. Da un anno è sotto pressione: telefonate nel cuore della notte, in cui voci gutturali minacciano di uccidergli i figli; volantinaggi e affissioni di manifesti per Milano; l’incendio del portone di casa.
Il mandante è Michele Sindona, bancarottiere in fuga riparato negli Stati Uniti, che lo considera la causa dei suoi guai. Di quell’uomo (affiliato alla loggia massonica P2, insediato nel consiglio d’amministrazione della Cisalpina Overseas Nassau Bank insieme a Roberto Calvi e a Monsignor Paul Marcinkus, con le amicizie “giuste” negli Stati Uniti: dall’avvocato Richard Nixon al banchiere David M. Kennedy, presidente della Continental Illinois Bank al quale ha ceduto il 22% della sua Banca Privata Finanziaria, al boss mafioso italoamericano Joe Doto noto all’Fbi come “Joe Adonis”, che gli ha affidato le sue più riservate e spericolate operazioni finanziarie, alla famiglia mafiosa newyorkese di Don Vito Genovese, per conto della quale si occupa di creare i canali per il riciclaggio dei proventi illeciti di varia natura) Cuccia sa che si deve avere paura: il cognato, Pier Sandro Magnoni, si è spinto a minacciarlo direttamente e senza filtri.
Eppure, quando gli avvocati di Sindona lo cercano, per proporgli un incontro, accetta: sarà a New York il 10 aprile 1979, a patto che il summit non si svolga nel territorio del bancarottiere, all’hotel Pierre, ma al Regency, in zona neutra. Presenti l’immancabile Magnoni e l’avvocato Rodolfo Guzzi, Enrico Cuccia e Michele Sindona parlano per due ore: il secondo accusa il primo di aver voluto il crack delle sue banche italiane e di non dargli la possibilità di risollevarsi, d’essere insomma il suo nemico. “Non ci creda, sono solo pettegolezzi. Non ho nulla di personale contro di lei”, liquida la questione Cuccia. “Due cose abbiamo in comune, noi due”, ammonisce Sindona fissandolo negli occhi, “lo sprezzo del pericolo, come dimostra la sua decisione d’accettare questo viaggio a New York, e un vivo amore per la famiglia“. Ricambiando lo sguardo, Cuccia replica: “Devo mettere in relazione il mio affetto per la famiglia col riprovevole messaggio che ho ricevuto da Magnoni?”. “No” è la risposta del banchiere della mafia, “i suoi figli non subiranno danni” e aggiunge: “Per oggi abbiamo finito, ma la vorrei rivedere a quattr’occhi. Va bene qui da lei alla stessa ora?”.
Cuccia acconsente e nei suoi appunti ci restituisce il monologo allucinante di Michele Sindona, nell’incontro a quattr’occhi: “Le premetto che sto per fare un discorso molto duro. Ho un figlio che ogni notte si sveglia di soprassalto urlando che stanno uccidendo suo padre; un altro ha deciso di fare politica con un orientamento che dovrebbe consentirgli iniziative a favore di suo padre, mia figlia è in uno stato di depressione gravissimo e si è ridotta a pesare 40 chili. Lei deve sapere, dottor Cuccia, che quando avvenne il crack i miei figli decisero di ucciderla. Sono riuscito a fermarli (…). Allora mi sono preoccupato di attuare una serie di prese di contatto con le comunità italiane negli Stati Uniti e mi sono fatto accompagnare dai miei figli, in modo che sapessero la verità delle sue malefatte contro di me. Sa qual è stata la conclusione di questi incontri? Che lei è stato dichiarato un “miserabile”, e sa cosa questo significa? È il termine che la mafia usa per chi condanna a morte (…). Ma io ho detto loro che lei è più utile da vivo che da morto. Ho fatto sospendere qualsiasi iniziativa nei suoi confronti. Ma mi sono assunto la responsabilità morale, e voglio che lei lo sappia, di fare ‘scomparire’ Ambrosoli senza lasciare alcuna traccia”.
Cuccia non avvertirà mai Giorgio Ambrosoli, 47 anni, avvocato milanese nominato nel 1974 liquidatore della Banca Privata, che nella suite del Regency è stata pronunciata la sua condanna a morte. La sentenza viene eseguita l’11 luglio 1979, intorno alla mezzanotte, in via Morozzo della Rocca 1 da William Joseph Aricò, un killer che una volta arrestato confesserà di essere stato assoldato da Sindona. Il 14 luglio, nella chiesa di San Vittore a Milano, non è presente alcuna autorità di governo: lo Stato che Ambrosoli ha servito non trova nemmeno la dignità d’essere presente al suo funerale. Arriva, però, da Roma, il governatore della Banca d’Italia, Paolo Baffi, che scorterà il feretro con i familiari e diversi magistrati milanesi.
Otello Lupacchini
Giusfilosofo e magistrato
Cronaca - 11 Luglio 2019
Giorgio Ambrosoli, quando Sindona pronunciò la sua condanna a morte in un hotel di New York
Enrico Cuccia, nel 1979, ha 72 anni e, ab immemorabili, è un’icona e un simbolo di Milano: nato in Sicilia, intellettuale, protagonista della rinascita industriale dell’Italia dopo il fascismo, si dice sappia tutto delle debolezze e della fragilità del sistema finanziario italiano ed è nota la sua avversione nei confronti del capitalismo di rapina. Nel suo ufficio, in via dei Filodrammatici, a due passi da piazza della Scala, nella sede di Mediobanca, unica vera banca d’affari e luogo di compensazione della finanza laica, Cuccia promuove incontri, realizza fusioni, salvataggi da crisi e compromessi tra famiglie industriali. Da un anno è sotto pressione: telefonate nel cuore della notte, in cui voci gutturali minacciano di uccidergli i figli; volantinaggi e affissioni di manifesti per Milano; l’incendio del portone di casa.
Il mandante è Michele Sindona, bancarottiere in fuga riparato negli Stati Uniti, che lo considera la causa dei suoi guai. Di quell’uomo (affiliato alla loggia massonica P2, insediato nel consiglio d’amministrazione della Cisalpina Overseas Nassau Bank insieme a Roberto Calvi e a Monsignor Paul Marcinkus, con le amicizie “giuste” negli Stati Uniti: dall’avvocato Richard Nixon al banchiere David M. Kennedy, presidente della Continental Illinois Bank al quale ha ceduto il 22% della sua Banca Privata Finanziaria, al boss mafioso italoamericano Joe Doto noto all’Fbi come “Joe Adonis”, che gli ha affidato le sue più riservate e spericolate operazioni finanziarie, alla famiglia mafiosa newyorkese di Don Vito Genovese, per conto della quale si occupa di creare i canali per il riciclaggio dei proventi illeciti di varia natura) Cuccia sa che si deve avere paura: il cognato, Pier Sandro Magnoni, si è spinto a minacciarlo direttamente e senza filtri.
Eppure, quando gli avvocati di Sindona lo cercano, per proporgli un incontro, accetta: sarà a New York il 10 aprile 1979, a patto che il summit non si svolga nel territorio del bancarottiere, all’hotel Pierre, ma al Regency, in zona neutra. Presenti l’immancabile Magnoni e l’avvocato Rodolfo Guzzi, Enrico Cuccia e Michele Sindona parlano per due ore: il secondo accusa il primo di aver voluto il crack delle sue banche italiane e di non dargli la possibilità di risollevarsi, d’essere insomma il suo nemico. “Non ci creda, sono solo pettegolezzi. Non ho nulla di personale contro di lei”, liquida la questione Cuccia. “Due cose abbiamo in comune, noi due”, ammonisce Sindona fissandolo negli occhi, “lo sprezzo del pericolo, come dimostra la sua decisione d’accettare questo viaggio a New York, e un vivo amore per la famiglia“. Ricambiando lo sguardo, Cuccia replica: “Devo mettere in relazione il mio affetto per la famiglia col riprovevole messaggio che ho ricevuto da Magnoni?”. “No” è la risposta del banchiere della mafia, “i suoi figli non subiranno danni” e aggiunge: “Per oggi abbiamo finito, ma la vorrei rivedere a quattr’occhi. Va bene qui da lei alla stessa ora?”.
Cuccia acconsente e nei suoi appunti ci restituisce il monologo allucinante di Michele Sindona, nell’incontro a quattr’occhi: “Le premetto che sto per fare un discorso molto duro. Ho un figlio che ogni notte si sveglia di soprassalto urlando che stanno uccidendo suo padre; un altro ha deciso di fare politica con un orientamento che dovrebbe consentirgli iniziative a favore di suo padre, mia figlia è in uno stato di depressione gravissimo e si è ridotta a pesare 40 chili. Lei deve sapere, dottor Cuccia, che quando avvenne il crack i miei figli decisero di ucciderla. Sono riuscito a fermarli (…). Allora mi sono preoccupato di attuare una serie di prese di contatto con le comunità italiane negli Stati Uniti e mi sono fatto accompagnare dai miei figli, in modo che sapessero la verità delle sue malefatte contro di me. Sa qual è stata la conclusione di questi incontri? Che lei è stato dichiarato un “miserabile”, e sa cosa questo significa? È il termine che la mafia usa per chi condanna a morte (…). Ma io ho detto loro che lei è più utile da vivo che da morto. Ho fatto sospendere qualsiasi iniziativa nei suoi confronti. Ma mi sono assunto la responsabilità morale, e voglio che lei lo sappia, di fare ‘scomparire’ Ambrosoli senza lasciare alcuna traccia”.
Cuccia non avvertirà mai Giorgio Ambrosoli, 47 anni, avvocato milanese nominato nel 1974 liquidatore della Banca Privata, che nella suite del Regency è stata pronunciata la sua condanna a morte. La sentenza viene eseguita l’11 luglio 1979, intorno alla mezzanotte, in via Morozzo della Rocca 1 da William Joseph Aricò, un killer che una volta arrestato confesserà di essere stato assoldato da Sindona. Il 14 luglio, nella chiesa di San Vittore a Milano, non è presente alcuna autorità di governo: lo Stato che Ambrosoli ha servito non trova nemmeno la dignità d’essere presente al suo funerale. Arriva, però, da Roma, il governatore della Banca d’Italia, Paolo Baffi, che scorterà il feretro con i familiari e diversi magistrati milanesi.
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‘In Ucraina è guerra per procura’: a dirlo è il segretario di Stato Usa Marco Rubio. E il Cremlino plaude
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Più che le conclusioni del Consiglio europeo sembrano un bollettino di guerra, con i nostri governanti che, in un clima di ubriacatura collettiva, programmano una spesa straordinaria di miliardi su miliardi per armi, missili e munizioni. E la premier Meloni cosa dice? 'Riarmo non è la parola adatta' per questo piano. Si preoccupa della forma e di come ingannare i cittadini. Ma i cittadini non sono stupidi! Giorgia Meloni come lo vuoi chiamare questo folle programma che, anziché offrire soluzioni ai bisogni concreti di famiglie e imprese, affossa l’Europa della giustizia e della civiltà giuridica per progettare l’Europa della guerra?". Lo scrive Giuseppe Conte sui social.
"I fatti sono chiari: dopo 2 anni e mezzo di spese, disastri e fallimenti in Ucraina anziché chiedere scusa agli italiani, Meloni ha chiesto a Von der Leyen di investire cifre folli in armi e spese militari dopo aver firmato sulla nostra testa a Bruxelles vincoli e tagli sugli investimenti che ci servono davvero su sanità, energia, carovita, industria e lavoro. Potremmo trovarci a spendere oltre 30 miliardi aggiuntivi sulle armi mentre ne mettiamo 3 scarsi sul carobollette".
"Stiamo vivendo pagine davvero buie per l’Europa. I nostri governanti, dopo avere fallito con la strategia dell’escalation militare con la Russia, non hanno la dignità di ravvedersi, anzi rilanciano la propaganda bellica. La conclusione è che il blu di una bandiera di pace scolora nel verde militare. Dai 209 miliardi che noi abbiamo riportato in Italia dall'Europa per aziende, lavoro, infrastrutture, scuole e asili nido, passiamo a montagne di soldi destinati alle armi".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Much appreciated". Lo scrive Elon Musk su X commentando un post in cui si riporta la posizione della Lega e di Matteo Salvini sul ddl Spazio e Starlink. Anche il referente in Italia del patron di Tesla, Andrea Stroppa, ringrazia via social Salvini: "Grazie al vice PdC Matteo Salvini per aver preso posizione pubblicamente".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - Gianfranco Librandi, presidente del movimento politico “L’Italia c’è”, ha smentito categoricamente le recenti affermazioni giornalistiche riguardanti una presunta “coalizione di volenterosi” per il finanziamento di Forza Italia. Librandi ha dichiarato: “Sono tutte fantasie del giornalista. Smentisco assolutamente di aver parlato di una coalizione di volenterosi che dovrebbero contribuire al finanziamento del partito”.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Il vergognoso oltraggio del Museo della Shoah di Roma è l'ennesimo episodio di un sentimento antisemita che purtroppo sta riaffiorando. È gravissima l'offesa alla comunità ebraica ed è gravissima l'offesa alla centralità della persona umana e all'amicizia tra i popoli. Compito di ognuno deve essere quello di prendere decisamente le distanze da questi vergognosi atti, purtroppo sempre più frequenti in ambienti della sinistra radicale infiltrata da estremisti islamici , che offendono la memoria storica e le vittime della Shoah. Esprimo la mia più sentita solidarietà all'intera Comunità ebraica con l'auspicio che tali autentici delinquenti razzisti antisemiti siano immediatamente assicurati alla giustizia ". Lo ha dichiarato Edmondo Cirielli, Vice Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Meloni ha perso un'occasione rispetto a due mesi fa quando si diceva che sarà il ponte tra l'America di Trump e l'Europa e invece Trump parla con Macron, con Starmer e lo farà con Merz. Meloni è rimasta un po' spiazzata. Le consiglio di non essere timida in Europa perchè se pensa di sistemare i dazi un tete a tete con Trump, quello la disintegra. Meloni deve stare con l'Europa e Schlein quando le dice di non stare nel mezzo tra America e Europa è perchè nel mezzo c'è l'Oceano e si affoga". Lo dice Matteo Renzi a Diritto e Rovescio su Rete4.