La questione palestinese si è ormai incancrenita nei processi storici contemporanei e sembra che nulla sia cambiato dal 1948 quando, con un atto di forza, centinaia di migliaia di palestinesi furono costretti a evacuare le aree che avrebbero visto la nascita di Israele. Da quel lontano 1948 la geopolitica e gli scenari internazionali sono drasticamente cambiati, ma in Palestina non è mutato il rapporto asimmetrico tra le forze in campo: da una parte il potentissimo esercito israeliano, dall’altra un popolo che ha cercato di resistere, più con l’ostinazione che con una reale opposizione armata.
Ieri ho depositato una mozione sottoscritta da ben 40 miei colleghi senatori del M5s, affinché l’Italia riconosca lo Stato palestinese. Il M5s già nella passata legislatura ha palesato tale sensibilità e determinazione nel credere che il percorso di pacificazione debba passare, prima di tutto, attraverso un tale riconoscimento.
In 71 anni di occupazione militare, abbiamo assistito all’erosione, non solo del territorio, ma del diritto internazionale, dell’umanità e della solidarietà tra i popoli. Poco alla volta alla ragione e alla diplomazia si sono sostituiti i soprusi, la violenza, gli omicidi e l’incarcerazione di leader politici palestinesi, fino alla barbarie sui bambini, prime vittime della guerra, incarcerati e abusati da una legislazione sempre più severa e spietata.
L’Onu, attraverso decine di risoluzioni, ha riconosciuto il diritto dei palestinesi ad avere uno Stato e chiesto ad Israele di ritirarsi dai confini stabiliti nel 1967, all’indomani della “guerra dei 6 giorni”. Gli organismi internazionali, tra cui anche il Parlamento europeo, spingono per la convivenza tra i due popoli, ma lo Stato e le forze politiche israeliane, hanno imposto una situazione di fatto, con continue violazioni delle risoluzioni delle Nazioni Unite, finalizzate ad acquisire pian piano territori e restringere le libertà democratiche, fino alla completa separazione tra la Striscia di Gaza, dove vivono circa 2 milioni di persone, e la Cisgiordania, dove ha sede il “governo” dell’Autorità Nazionale Palestinese. L’odierna carta politica della Palestina mostra un mosaico di territori palestinesi che non comunicano tra loro, asfissiati da colonie, posti di blocco, check point e incursioni dell’esercito israeliano.
La Palestina è scomparsa dai media, semplicemente cancellata dalle prime pagine dei giornali, ignorata e relegata a culla del terrorismo. Eppure l’instabilità del Medio Oriente nasce e continua ad alimentarsi sulla questione palestinese e, fino a quando non si realizzerà il processo di formazione dello Stato, nulla potrà cambiare. Purtroppo però le sofferenze patite dalla popolazione sono enormi per voltarsi dall’altra parte e far finta di niente. I palestinesi e gli israeliani hanno il diritto di vivere in pace, non ostaggi di grumi di poteri locali e internazionali a cui, invece, non conviene la convivenza. La soluzione dei due popoli che convivono pacificamente può oggi sembrare un’utopia, ma bisogna porre le basi affinché in un futuro questa aspirazione possa diventare realtà.
Non si tratta di schierarsi con l’uno o l’altro Paese, ma di porre la giustizia come pilastro delle relazioni internazionali. Per questo chiediamo il riconoscimento dello Stato di Palestina, come premessa per la realizzazione del principio che ogni popolo ha diritto a vivere in pace e in sicurezza e poter determinare il proprio futuro. Sono certo che ciò avverrà, presto o tardi, ma ognuno di noi deve fare la sua parte e oggi, come Italia, tocca a noi. Auspico che tutte le forze politiche abbiano questa lungimiranza.
In tutto il mondo sono 137 i Paesi che hanno già riconosciuto lo Stato di Palestina nei confini del 1967, con Gerusalemme est quale sua capitale. Tuttavia, in molti hanno perso la speranza di vedere, un giorno, israeliani e palestinesi vivere in pace gli uni accanto agli altri. Io credo che compito della politica debba, invece, essere quella di lavorare alacremente affinché anche ciò che si suppone impossibile oggi possa divenire realtà domani.