Una rivoluzione contro correnti e feudi di potere. Il partito va cambiato perché le correnti soffocano tutto. E i gruppi di potere si collocano con uno o con un altro “a prescindere dalle idee“. All’indomani della presentazione dei comitati civici di Matteo Renzi, il segretario del Pd Nicola Zingaretti parla di “rivoluzione” perché “altrimenti non ce la facciamo”. Un avvertimento che arriva dall’assemblea del Partito democratico e si inserisce in un dibattito che ha tutti gli elementi per apparire fuori fuoco: mentre il governo ha i suoi problemi (da quelli giudiziari della Lega a quelli più politici nel rapporto con il M5s), il principale partito dell’opposizione continua a parlare di se stesso.
Segno evidente che il tempo che serve per ripartire e “rialzare lo sguardo verso il futuro” come dice lo stesso Zingaretti si preannuncia ancora lungo. E il primo paletto fissato dal segretario sembra un messaggio diretto al suo predecessore che da Milano ha dato carburante ai “comitati Azione civile Ritorno al Futuro”, che per un pezzo di Paese (almeno dalle Politiche del 2018) non sembra proprio una rassicurazione. “Non siamo una corrente“, ha detto Renzi, e l’excusatio sembra non petita.
Ma è troppo poco, secondo Zingaretti, dire semplicemente che le correnti vanno eliminate: “O facciamo una rivoluzione o non ce la faremo”, lo supera a sinistra il segretario. “La riforma del partito è necessaria perché lo strumento che abbiamo non è più utile a svolgere la sua funzione. Non ce ne siamo occupati perché c’erano le elezioni ma sul partito dobbiamo cambiare tutto perché tutti sappiamo che cosi non si va più avanti”. “E lo dico non perché che si discute – credo che questo sia un gran bene – ma non si va avanti così perché troppo spesso questo partito è un arcipelago in cui si esercita il potere, c’è gruppo dirigente nazionale attorno a leader ma poi c’è un regime correntizio che appesantisce tutto. Ci sono realtà territoriali feudalizzate che si collocano da una parte o dall’altra, con un leader o un altro a prescindere dalle idee”.
Zingaretti dice no a quello che definisce “modello Salvini“: “Il comando assoluto di una persona è la premessa della sua solitudine e della sua sconfitta: credo a un partito che sopravviva ai suoi leader. Serve un partito radicalmente nuovo, una comunità organizzata”. Modello Salvini, certo, che però ricorda le accuse a una gestione precedente del partito.
Il segretario, dunque, fissa l’agenda: dall’8 al 10 novembre a Bologna una “Convention per l’alternativa”. Entro quel mese, il Pd – dice – deve prendere una decisione dello statuto, cioè la sua trasformazione. In questo Zingaretti non è affatto solo: “Io penso che lo statuto vada stracciato e radicalmente riscritto – dice l’ex presidente Matteo Orfini – Non prevede forme di partecipazione a chi vuole dare una mano alla nostra battaglia. Ci serve anche una base più larga. Partiamo dal foglio bianco, non si deve correggere ma stracciare e riscrivere da capo”.
E proprio Zingaretti, dunque, annuncia una nuova piattaforma online pronta da settembre, ma anche una riorganizzazione sul territorio, con la sperimentazione di “nuovi livelli di organizzazione territoriale, di ‘punti Pd’, registrati in una nuova piattaforma” e il lavoro “nelle scuole, nei luoghi di lavoro”.