Diceva Oscar Wilde: “Le spie ai nostri giorni non servono più. Il loro lavoro lo fanno i giornali”. Nella contemporaneità più all’avanguardia anche i giornali arrivano in secondo piano perché, il lavoro delle spie, è oramai affidato ai siti web, una realtà magmatica e impalpabile. E’ accaduto per tanti altri scandali di portata mondiale e accade, anche oggi, per il “Russiagate” che coinvolge la Lega e l’Italia.
E’ Buzzfeed il sito che ha pubblicato gli audio dell’incontro segreto all’Hotel Metropole tra Savoini, altri italiani non identificati (sembrerebbe un avvocato) e un gruppo di interlocutori russi. Si sarebbe parlato di praticare sconti su un quantitativo di greggio russo da vendere a imprese italiane (l’Eni?) e, contestualmente, offrire alla Lega (e in percentuale maggiore ad alcuni non ben identificati russi) un vantaggio economico consistente nel dividersi la cifra risparmiata. Per la Lega si parlerebbe di una sessantina di milioni di dollari.
Ma tutto sembra essere saltato oppure, come sostiene il vice premier Salvini, nulla di tutto ciò si sarebbe dovuto concludere. Dal suo viaggio a Mosca, il Capitano leghista, sarebbe infatti tornato solamente con il risultato degli incontri politici e un paio di matrioske come souvenir. Fatto sta che la Procura di Milano sta indagando per corruzione internazionale. E’ un reato strano, contorto, dai confini labili e di difficile applicazione. Peraltro, se commesso in territorio straniero, è intuitivo comprendere come sia complesso identificare il pubblico ufficiale corrotto (del Paese di riferimento) l’atto contrario ai doveri d’ufficio (nel Paese straniero) e avere, poi, l’autorizzazione ministeriale (italiana) come via libera per la procedibilità in Italia. Nel caso che coinvolge Savoini non pare esservi traccia del pubblico ufficiale russo disponibile a “mercificare” la sua funzione (dai media sono fatte ipotesi, ma nulla più); non risulta nemmeno un passaggio illecito di denaro e un corrispondente atto contrario ai doveri d’ufficio. E’ vero che la corruzione consente la punibilità del reato anche alla sola presenza dell’accordo illecito ma le intercettazioni a disposizione, non fanno pensare a un patto già stretto e dunque punibile. Dal punto di vista strettamente giuridico, almeno per ora, non si può neppure parlare di reato tentato e dunque, al di là delle complicazioni tecniche per procedere contro un’ipotesi posta in essere all’estero, non sussisterebbero neppure gli estremi del reato tentato. Per ora il piano giuridico finisce qui.
Tutto diverso è il quadro politico, “noir” e pop che si solleva dall’accaduto. L’aria è quella dei film di 007 con spie che, non si sa bene da che parte, si muovono nelle fredde notti di Mosca, tra gli alberghi della capitale russa, mentre una delegazione italiana svolge incontri politici e commerciali con interlocutori del governo e dell’imprenditoria locale. C’è chi immagina infiltrati americani, chi dell’Unione Europea (è noto come Salvini voglia aprire una sponda politica nuova con la Russia di Putin) chi di qualche forza politica italiana (il vecchio Pd, magari attraverso qualche coriaceo rapporto in terra -ex- comunista oppure qualche altro protagonista della politica italiana che, sfruttando pregressi rapporti con il mondo post-comunista di Mosca, voglia tendere qualche trappola).
Certamente questa trama da romanzo di spionaggio è l’affaire più concreto, tangibile e indubbiamente complesso da sciogliere. Anche perché le reazioni all’interno della Lega sono state inaspettate: tutti sembrano voler scaricare Savoini, quasi misconoscendo una sua legittimazione a essere parte della comitiva presente in quel viaggio. Aspetto curioso per un partito che ha, da sempre, difeso a spada tratta i suoi componenti.
E poi c’è il disvelamento sempre più manifesto del lato pop della giustizia e del crimine. Forse mai come in questa vicenda è tangibile come il crimine (persino se non c’è) viene costruito come un prodotto da vendere, una merce appetitosa e succulenta sul mercato all you can eat della vertigine “alla Baudrillard” dove è assai più seducente il male (si ripete, anche se non c’è) rispetto al bene. Come per ogni noir che si rispetti è il male, il torbido e il voyeuristico a fare da protagonista. Mancano Terry Broome o Eva Kant ma, forse, basta attendere la rogatoria internazionale. E’ probabile che l’indagine, se porterà a qualche risultato più consistente, anche dal punto di vista dell’accertamento giudiziario, cederà lo scettro dell’interesse pubblico ai retroscena alla Diabolik e la questione giudiziaria rappresenterà un tassello minimo dell’“operazione Goldfinger” targata pop crime e spionaggio. E’ dunque partita la vertiginosa “Caccia ad Ottobre Rosso”.
Ciò di cui c’è bisogno, se si vorrà capire qualcosa dell’accaduto, eventualmente anche per le sue labili e dubbie ricadute giudiziarie, è un’accurata operazione di intelligence che sia in grado di non focalizzarsi esclusivamente sui contorni strettamente giuridici ma anche su altri scenari che potrebbero spalancare nuovi e diversi scenari con possibili ricadute, anche giudiziarie, ad oggi sconosciute. Certamente la giostra pop del crimine, lanciato nel marketing delle merci come sostituto (pseudo) culturale dell’ormai desueto romanzo di letteratura criminale e noir, compagnia novecentesca dell’estate sotto l’ombrellone, non poteva trovare una trama più gustosa. Il Russiagate all’italiana è solo all’inizio.