Dopo il Gran premio di Formula 1 e le “baby-olimpiadi”, la famiglia reale al comando del Bahrain è in queste settimane al centro dell’attenzione per un ulteriore tentativo di sport-washing, ovvero l’uso dello sport per distogliere l’attenzione dalla drammatica situazione interna dei diritti umani. Al Tour de France, iniziato il 6 luglio, corre anche il nostro Vincenzo Nibali, già vincitore dell’edizione 2014.
Nibali è il leader di Bahrain-Merida, il team lanciato nel 2017 da uno dei figli del re del Bahrein, Nasser bin Hamad al-Khalifa: un’idea nata, racconta il fondatore, da una pedalata nel deserto proprio con Nibali. Nasser – oltre ad avere un ruolo di primo piano nelle forze armate e a comandare la Guardia reale del Bahrein – è stato presidente del Comitato olimpico nazionale e si è distinto nella repressione scattata nel 2011. Di lui si ricordano queste parole minacciose, pronunciate in una diretta televisiva poco dopo l’inizio della rivolta: “A tutti coloro che chiedono la caduta del regime, auspico che crolli un muro sulle loro teste, che siano atleti, attivisti o politici. È arrivato il giorno del giudizio”.
E infatti, il giudizio è arrivato in questi anni per oltre 150 atleti bahreiniti che, per aver preso parte alle manifestazioni, sono stati arrestati, imprigionati, torturati ed esclusi dalle attività sportive. La lunga mano del regime ha minacciato di colpire anche chi era fuggito all’estero.
Queste premesse spiegano perché l’Alleanza per lo sport e i diritti abbia scritto all’Uci, l’organo di governo del ciclismo, protestando per l’iscrizione al Tour della Bahrein-Merida, un team di cui si contesta la violazione del codice etico dell’Uci, che richiede ai partecipanti alle competizioni ciclistiche di “mostrare impegno verso un comportamento etico”. Ovviamente Bahrein-Merida ha negato di essere uno strumento di sport-washing, affermando di essere completamente distinta e separata dal governo.
A parte il fatto che il figlio del re risulta essere ancora il presidente del team, il Guardian menziona la presenza, tra gli sponsor, del fondo sovrano Mumlalakat e della compagnia petrolifera Bapco – non esattamente distinti e separati dal governo. Sarebbe interessante, a fine tour, chiedere a Vincenzo Nibali un parere su questa storia.