Visto che il governo non ha riconosciuto la gravità della situazione, tante città italiane seguono New York, Parigi e decine di sindaci europei, facendosi avanti per denunciare l'emergenza ambientale. Dal progetto ‘città verticale’ di Napoli alla riduzione delle emissioni a Milano: ecco come si stanno attrezzando
“Che il clima stia cambiando rapidamente è un’evidenza, specie per noi torinesi: ormai viviamo periodi caldi di siccità alternati a piogge che creano allagamenti che non siamo in grado di assorbire. Per questo abbiamo accettato anche noi di dichiarare l’emergenza climatica”. Alberto Unia è assessore all’Ambiente di Torino: l’ultima ad essersi aggiunta alla schiera dei comuni italiani che ha dichiarato l’emergenza climatica, approvando all’unanimità lo scorso 2 luglio una mozione elaborata dai ragazzi dei Fridays for Future che impegna la città a varare misure urgenti su emissioni, consumi energetici, mobilità. “Da tempo – spiega Unia – stiamo lavorando un piano di adattamento ai cambiamenti climatici che coinvolge tutti i settori, dal riscaldamento, ai trasporti, al verde alla protezione civile. Stiamo rimappando il verde urbano per incrementarlo, sostituiamo le piante con quelle più adeguate al nuovo clima. Per le ondate di calore cerchiamo di creare in ogni zona delle oasi per ripararsi, senza dover andare nei centri commerciali, mentre per il trasporto pubblico sostituiremo il 50% dei mezzi con mezzi non inquinanti. Poi cambieremo la ztl e stiamo facendo la riclassificazione energetica dei 700 edifici del comune. Tutto questo lo facciamo in maniera coordinata, con un tavolo sul clima che mette insieme gli assessorati”.
Torino, Milano, Napoli. Ma anche Siracusa, Lucca e persino comuni piccolissimi, come Acri, in Calabria, ufficialmente il primo italiano a dichiarare il 19 aprile scorso l’emergenza climatica. Visto che il governo nazionale non ha riconosciuto la gravità della situazione – in Senato il 5 giugno scorso è stata respinta, tra le proteste degli attivisti dei Fridays for Future, la mozione in cui veniva richiesta la dichiarazione di emergenza climatica in Italia, a favore di una più vaga volta “a combattere i cambiamenti climatici con una spinta a nuove azioni sostenibili” – sono le città a decidere di farsi avanti per denunciare l’emergenza ambientale. E stabilire piani di adattamento ai cambiamenti ma anche di mitigazione delle emissioni di gas serra: sono oltre duecento i sindaci europei, tra cui quelli di Milano, Bologna, Firenze, Arezzo, Mantova, Modena, Torino, che hanno firmato in maggio una lettera per chiedere all’Unione europea di stabilire un quadro più ambizioso per raggiungere zero emissioni nette di gas serra entro il 2050.
Città in rete nel mondo – Le città italiane seguono la scia di quelle mondiali. Il 26 giugno, ad esempio, New York è diventata la più grande al mondo ad aver dichiarato lo stato di emergenza climatica e ambientale. Il 9 luglio scorso Parigi. Ma prima della Grande Mela anche città come Londra, Basilea, San Francisco, Melbourne ed Edimburgo avevano fatto lo stesso. Secondo il sito Climate Emergency Declaration, 507 amministrazioni locali in Canada, Australia, Regno Unito, Stati Uniti e Svizzera, corrispondenti a 43 milioni di cittadini, hanno fatto la stessa cosa. L’iniziativa delle città si aggiunge ad altre precedenti, sempre prese dalle amministrazioni locali: come la rete di “Cittàslow”, nata a Orvieto nel 1999, 350 sindaci per la resilienza ambientale e sociale; “C40 Cities”, un network di 94 grandi città, tra cui Milano e Roma (con 650 milioni di abitanti), nato nel 2005 con l’obiettivo di realizzare gli obiettivi dell’accordo di Parigi. E il Patto dei Sindaci per il Clima e l’energia, che riunisce 9.664 enti locali in 57 paesi, con oltre 320 milioni di abitanti, lanciato nel 2008 con l’obiettivo di riunire i governi locali per raggiungere e superare gli obiettivi comunitari su clima ed energia. Oggi, si legge sul sito, “i firmatari del Patto s’impegnano ad adottare un approccio integrato alla mitigazione e all’adattamento ai cambiamenti climatici. Sono tenuti a sviluppare, entro i primi due anni dall’adesione, un Piano d’Azione per il Clima e l’Energia Sostenibile con l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 di almeno il 40% entro il 2030 e aumentare la resilienza ai cambiamenti climatici”.
Da Milano a Napoli, cosa stanno facendo le città italiane – A livello locale, dunque, il contrasto all’emergenza climatica sta diventando realtà. Bologna è una delle città più avanzate, dopo il varo di Blueap, un piano di adattamento al cambiamento climatico. Anche la città Napoli ha dichiarato in maggio l’emergenza climatica. Spiega Raffaele Del Giudice, assessore all’ambiente: “La decisione è stata presa sulla spinta di comitati di associazioni, una base sociale molto preparata e anche propensa ad azioni di lungo respiro sui cambiamenti climatici”. Del Giudice racconta quello che la città sta facendo sul piano dell’adattamento. “Per il progetto ‘città verticale’ abbiamo tracciato percorsi pedonali utilizzando le nostre antiche scale, che vengono rifunzionalizzate e dotate di pannelli fotovoltaici. Il sindaco De Magistris, sensibile al tema, ha approvato il piano Ossigeno bene comune (OBC), per il quale prevediamo la piantumazione di migliaia di alberi, nuove piste ciclabili, attrezzature per la differenziata alimentate a energia alternativa e piccoli impianti di compostaggio. Contestualmente, insieme all’Autorità portuale e la Capitaneria di Porto, abbiamo fatto un’ordinanza per cui le navi che attraccano tre miglia prima devono passare a un combustibile a basso contenuto di zolfo e un’altra ordinanza permanente che vieta gli autoveicoli euro 3, oltre a una serie di azioni con le scuole, le associazioni, per cercare di migliorare anche gli stili di vita individuali. Abbiamo anche eliminato la plastica dagli uffici prima della campagna plastic free, abbiamo un’isola ecologica dove recuperiamo materiali alimentata a energia solare e un campo di calcio a Scampia fatto con 7mila copertoni riutilizzati attraverso un consorzio che tratta copertoni trasformandoli in erba sintetica. I finanziamenti purtroppo sono pochi e per quanto riguarda quelli europei spesso viene chiesto il cofinanziamento, ma per chi ha procedure di rientro dal dissesto questo non è possibile”.
Da Napoli a Milano, unica città ad aver addirittura creato la figura del chief resilient officer, un manager del rischio climatico (ricoperta da Piero Pelizzaro). “Milano partecipa alle reti internazionali già ai tempi di Pisapia: le città sono quelle che risentono maggiormente degli effetti di calore dell’inquinamento, ma sono anche le zone dove si può fare di più, dove si può fare la differenza”, spiega Marco Granelli, assessore all’ambiente. “Stiamo preparando un piano di riduzione delle emissioni per il periodo 2030-2050: in quest’ottica dobbiamo fare un’operazione congiunta con tutti i settori, dalla mobilità all’urbanistica al verde, perché la strategia per il clima è trasversale. Non a caso abbiamo fatto un seminario di formazione a tutti i dirigenti del comune e lo faremo con tutta l’amministrazione”. Granelli elenca anche gli obiettivi raggiunti: 62 per cento di raccolta energetica, nessun edificio alimentato a gasolio, bando di 30 milioni per l’efficientamento energetico degli edifici, bando a tutti i diesel dal 2025, limitazione ingressi nell’area B, flotta di veicoli pubblici tutti elettrici o ibridi entro il 2030, rimpiantumazione di 3 milioni di alberi, come previsto dal piano di governo del territorio. “Anche dieci alberi in una strada che non ne aveva permettono di diminuire il calore”, spiega l’assessore. “Per questo vogliamo intervenire laddove non ci sono, soprattutto in alcune fasce intermedie della città. Dobbiamo cominciare oggi a reinverdire, il tempo è poco e anche i cittadini lo sanno: quando vedono che un torrente in due minuti di pioggia si alza di due metri sanno che sta succedendo qualcosa di grave. A cui occorre porre rimedio”.
Il caso Roma – Nota – almeno per ora – negativa per il Comune di Roma, dove il 28 giugno scorso sono state presentate alla sindaca Raggi due dichiarazioni di emergenza climatica. Da un lato, 30mila firme a sostegno della petizione #emergenzaclimaticaroma, dall’altro la più stringente mozione dei Fridays for Future, che punta il dito anche ai dati drammatici della raccolta differenziata, alle carenze del servizio pubblico, alle criticità delle fonti e delle infrastrutture idriche. E chiede “di fare ogni sforzo per contenere l’aumento della temperatura a 1,5 entro il 2030, affrontare con urgenza il problema della mobilità sostenibile a Roma, bonificare il Tevere, riqualificare l’edilizia pubblica e privata, affrontare il problema dei rifiuti tenendo conto dell’intero ciclo, sanare le falle nel sistema idrico di Roma per ridurre le dispersioni al 20% entro 5 anni, tutelare le aree verdi in un’ottica di infrastruttura climatica”. Virginia Raggi si è detta “contenta” e ha promesso che si farà “un lavoro importante su questo tema”, ma per ora nessuna decisione. Eppure, come commenta la fisica e climatologa del Cmcc Paola Mercogliano, “le città sono ambienti che nei prossimi anni sperimenteranno anche impatti maggiori, come ondate di calore più intense rispetto alle zone rurali. Bisogna quindi che siano loro a muoversi, come già stanno facendo: “Mi sembra un buon segnale e spero che questo attivi al più presto l’avvio di politiche e di misure efficaci per l’adattamento e la mitigazione. Una presa di coscienza mi sembra un ottimo primo passo, se seguiranno, ovviamente, stringenti azioni concrete”.