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Ebola in Congo, l’epidemia arriva a Goma. Sul posto centinaia di operatori ong, anche italiani. Il governo locale rassicura

Circa 3mila operatori sanitari erano stati preparati e vaccinati. La città conta 1 milione di abitanti, gran parte in stato di povertà, e si trova proprio al confine con il Rwanda. Sempre da Goma partono i voli per l'Italia. Il malato è un uomo di 46 anni, pastore di una delle tante "Chiese del risveglio" della regione. L'uomo è morto

Il Ministero della salute congolese conferma il primo contagio di ebola nella città di Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu, città di 1 milione di abitanti sulle rive del lago Kivu.

Da tempo, temendo questa evenienza, ben 3mila operatori sanitari erano stati preparati e vaccinati, ma – nonostante fosse preventivata – la notizia allarma, non solo per il numero di persone che risiedono in città, spesso stipate in quartieri poveri e nei quali le misure igieniche sono carenti, ma anche e soprattutto per la posizione strategica di Goma: la città si trova proprio al confine con il Rwanda, dove sorge la città “gemella” Gisenyi e dove il traffico transfrontaliero di merci e persone è molto intenso. Non solo: dall’aeroporto di Goma partono voli quotidiani per la capitale Kinshasa, distante 2mila km, ma anche per altre capitali africane. E per l’Europa, Italia compresa. Da qualche tempo le compagnie aeree hanno stabilito misure di sicurezza e di controllo della temperatura corporea per i passeggeri provenienti dalla Rdc, che ci si augura siano accurati.

Un altro dato preoccupa: vista l’instabilità della zona, da anni teatro di conflitti, a Goma hanno sede centinaia di ong provenienti da mezzo mondo, nonché i caschi blu che operano nella regione con la missione Monusco, anch’essi provenienti da diversi paesi africani e asiatici. Militari, espatriati, operatori non governativi, volontari, missionari: un microcosmo che – almeno potenzialmente – rende Goma luogo estremamente pericoloso per a diffusione del virus.

Il governo congolese, confermando la notizia del contagio, ha subito rassicurato: “È importante che la popolazione mantenga la calma” scrive in un comunicato il Ministero della Salute, che aggiunge: “In ragione della velocità con la quale il paziente è stato identificato e isolato, oltre che dell’identificazione di tutti i passeggeri del bus proveniente da Butembo, il rischio di diffusione nel resto della città di Goma resta basso”.

Il comunicato spiega che si tratta di un uomo di 46 anni, pastore di una delle tante “Chiese del risveglio” della regione, che aveva trascorso qualche giorno a Butembo (sede principale dell’epidemia) per predicare e celebrare riti che includevano l’imposizione delle mani sui fedeli. Il 9 luglio avrebbe sviluppato i primi sintomi della malattia e sarebbe stato curato a domicilio da un infermiere, fino alla partenza per Goma in autobus, il 12 luglio. Lungo la strada che collega le due città, il bus si sarebbe fermato a ben tre posti di blocco con presidio di controllo sanitario, e lì l’uomo avrebbe fornito generalità false, ogni volta diverse, per non essere identificato e riconosciuto. Giunto a Goma, domenica mattina si sarebbe sentito male e si sarebbe recato in un centro sanitario, dove i sintomi sarebbero stati immediatamente riconosciuti e il paziente posto in isolamento. Alle 15 della domenica, l’esito del test di laboratorio confermava il caso di ebola. Martedì la notizia che l’uomo è morto. Il Ministero aggiunge che, se le condizioni del malato lo permettono, oggi stesso verrà trasferito in ambulanza a Butembo, dove sono da tempo allestiti i presidi sanitari appositi.

La rapida identificazione del malato e di tutte le 19 persone che hanno viaggiato con lui (e che saranno nel più breve tempo possibile sottoposte a vaccinazione) dovrebbero consentire di mantenere sotto controllo la situazione nel capoluogo. L’allarme resta tuttavia alto. Si stanno identificando altre persone eventualmente entrate in contatto col pastore, che verranno vaccinate e seguite da vicino per 21 giorni.

Questo caso riaccende l’attenzione sull’epidemia in corso dal 1 agosto 2018 nell’est della Repubblica Democratica del Congo, la seconda per gravità dopo quella che fra il 2013 e il 2014 fece quasi 11mila vittime in Africa occidentale, fra Sierra Leone, Guinea e Liberia. Ad oggi in Rdc i dati ufficiali parlano di 2489 casi, con 1665 morti accertati. Le particolari condizioni della zona colpita, l’insicurezza dovuta ai gruppi armati e gli errori commessi nei primi mesi non aiutano a mantenere il virus sotto controllo.